
– Cucù!
– Chi è?
– Sono il gufu, che veglia nella notte, e ti ricorda l’appuntamento di domani.
– Grazie gufu, ma c’ho l’agenda del cuore sulla quale ho scritt’ che domani vedrò il mio amat’.
– Vabbè, comunque: Cucù! Visto che veglio nella notte, tanto vale che ti ricord’ gli appuntamenti.
– Ma gufo, gufo di merda, non ce l’hai una casa?
– La mia casa è l’amore e la riscalda il cuore degli amanti!
– Maledizione a me e a quando ho deciso di vivere in campagna.
(brunello robertetti, un poesie)
Da qualche settimana, di notte, dalla mia stanza da letto, si sente uno strano rumore, un po’ diverso dal classico cuu-huu-hu di un gufo, ma nemmeno troppo. Dalle mie parti c’è un po’ di verde, una collina poco distante, ma l’impressione è che l’animale si nasconda piuttosto tra i pannelli solari del tetto di pertinenza, o più semplicemente che qualche condomino lo stia allevando a botte di topi e piccioni.
Da ragazzino andavo spesso al mare, con alcuni amici, dalle parti del Fusaro. Non sfioravamo neppure la bellezza della Casina Vanvitelliana, né del lago dove si possono pescare con un po’ di fortuna pesci non troppo comuni. Ci dirigevamo invece con lunghe camminate dalla stazione della Cumana verso una spiaggia isolata, popolata da uomini un po’ strani, tra cui un venditore ambulante con una malformazione sotto lo sterno a forma di frutto, che si diceva essere una pera, ingoiata intera e rimasta letteralmente sullo stomaco al malcapitato.
“Ora, veder cose che non posso comprendere, procurarmi cose impossibili ad aversi, questo è lo scopo della mia vita. Vi giungo con due mezzi: il denaro e la volontà… […] Così, per esempio, vedete questi due pesci nati, l’uno a cinquanta leghe da Pietroburgo, l’altro a cinque leghe da Napoli. Non è dilettevole il poterli riunire sulla stessa tavola?”.
“Quali sono dunque questi pesci?”, domandò Danglars.
“Ecco qua, il signor Chateau-Renaud, che ha abitato in Russia, vi dirà il nome dell’uno, e il signor maggiore Cavalcanti, che è italiano, vi dirà il nome dell’altro”.
“Questo qui – disse Chateau-Renaud – è, credo, uno sterlet”. “E questo qua – disse Cavalcanti – una lampreda, se non sbaglio”.
“Ora, signor Danglars, domandate a questi due signori ove si pescano questi due pesci…”, disse Montecristo.
“Ma – disse Chateau-Renaud – gli sterlet si pescano soltanto nel Volga”. “E io – disse Cavalcanti – non conosco che il Fusaro che fornisca lamprede di questa grossezza”.
“Ebbene, precisamente! L’uno viene dal Volga e l’altro dal lago del Fusaro”.
“Impossibile!”, gridarono a un tempo tutti i convitati.
“Ecco appunto ciò che mi diverte”, disse Montecristo. “Io sono come Nerone, desidero l’impossibile”.
(alexandre dumas, il conte di montecristo)
Ai margini di questa spiaggia sulla quale ogni anno passavamo buona parte del mese di giugno, c’erano delle vecchie palazzine a due piani diroccate. Non saprei spiegare il perché, ma nostro divertimento era entrare lì dentro e continuare a sfasciarle tirando contro i muri i mattoni che trovavamo per terra, qualche volta ferendoci, e finendo in altre persino all’ospedale.
Un giorno ci accorgemmo che un gufo era rimasto imprigionato con una zampa in una fessura, e dando vita a uno spettacolo decisamente macabro pendeva a testa in giù, lamentandosi con un verso molto simile a quello che ogni notte oggi sento fuori dal balcone di casa.
Salire a liberarlo era impossibile, perché non c’erano più scale né muri a cui arrampicarsi, e così la nostra idea fu quella di lanciare pietre più vicino possibile al suo corpo, per rompere il mattone in cui era rimasto impigliato e salvarlo. Il rischio di lapidarlo era calcolato, e il nostro alibi morale era che se lo avessimo lasciato lì se lo sarebbero mangiato i topi entro pochi giorni.
Passammo ore in questa attività senza ottenere alcun risultato, poi abbandonammo l’animale al suo destino, dispiaciuti per non essere riusciti a salvarlo, ma forse un po’, almeno in qualche angolo recondito del nostro sadico cuore, anche di non averlo colpito.
(credits in nota 1)
Non conosco personalmente Gennaro Gattuso, ma mi è sinceramente antipatico. Non sopporto quella sua retorica da uomo tutto d’un pezzo, da contadino del Sud con i valori d’una volta, e quell’atteggiamento “forza e onore” che è facile sbandierare quando vivi tra i privilegi, che per carità, si sarà pure conquistato sul campo, anche se mi sarebbe piaciuto vedere la sua reazione quando Gazza Gascoigne, in Scozia, durante uno dei suoi primi allenamenti con i Rangers di Glasgow, gli cagò nei calzettoni.
Gattuso, che come allenatore ha sempre fatto pena (fatta eccezione per qualche piccolo successo tra cui una Coppa Italia vinta in tempi di Covid con il Napoli titolato più brutto di sempre), oggi allena la nazionale italiana, e dispensa perle da vecchio uomo di valori – di norma ripete questa parola ogni due o tre frasi – a ogni intervista. L’altro ieri, tra una banalità e l’altra sul “dobbiamo pensare alla nostra partita”, ha detto che sperava che nella gara tra Israele e Norvegia succedesse “qualcosa di fantastico”, che poi se ho capito bene sarebbe stata la vittoria di Israele (inutile dire che i vichinghi hanno asfaltato gli israeliani per cinque gol a zero).
Ora, al netto del fatto che nell’ultimo mese la nazionale italiana ha giocato e giocherà una seconda volta contro uno Stato che sta commettendo un genocidio da due anni, e che nelle ultime quarantotto ore sta continuando a uccidere decine di civili nella Striscia nonostante la tregua sottoscritta in vista degli accordi di pace; al netto del fatto che in questo mese Gattuso non ha trovato nulla di più intelligente da dire che “dobbiamo giocarla la partita con Israele, altrimenti perderemo a tavolino”; e al netto del fatto che per Italia-Israele di mercoledì sono previste dure contestazioni a quest’evento che di sportivo non ha e non può avere nulla; e al netto del fatto che si è a lungo vociferato di un coinvolgimento del Mossad nella gestione della sicurezza dell’evento… al netto di tutto ciò, a me hanno insegnato che per uno sportivo non c’è niente di meno elegante che “gufare”, ovvero contare su una sconfitta altrui per ottenere una vittoria.
È una cosa che – bando ai moralismi – può capitare, ma che bisognerebbe almeno avere il buon senso di tenersi per sé, soprattutto se si è un allenatore professionista, se ci si fa vanto di rappresentare un paese, se ci si propone come “uomo tutto d’un pezzo” e soprattutto perché francamente di questi tempi sperare che Israele vinca anche solo una partita di calcio è veramente un’indecenza. Personalmente, l’unico risultato che auspico è che a Udine mercoledì ci sia tanto di quel casino da costringere all’annullamento della partita.
“Io – proseguì poi don Mariano – ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità e ci riempiamo la bocca di dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, che mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancora più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vnano diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre…”. (leonardo sciascia, il giorno della civetta)
a cura di riccardo rosa
__________________________
¹ David Carradine in: Kill Bill volume 2, di Quentin Tarantino (2004)