Atene, dieci giorni di scioperi e cortei

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Atene, dieci giorni di scioperi e cortei
(disegno di escif)

Arrivo ad Atene la sera del 2 ottobre, su un aereo in ritardo di due ore. Alle 2.30 sono in aeroporto, alle 5.30, ora locale, a casa. Una veglia non richiesta ed eppure essenziale: mentre mi sposto verso sud-est, i compagni e le compagne italiani mi aggiornano sull’abbordaggio delle navi della Sumud Flottilla. Molti di loro sono già in piazza, tanti altri e tante altre li raggiungeranno l’indomani. Intanto esco fiacca dalla porta del gate, i tassisti rimangono fermi davanti alle loro macchine. «Απεργία», mi ripetono. «Απεργία! Strike!». Lo sciopero prevede ventiquattr’ore di stop ininterrotto. Tutte le categorie, tutti i sindacati. È stato chiamato il primo ottobre: sul piano delle contestazioni una riforma del lavoro terrificante che estende la durata della giornata lavorativa a tredici ore.

Come me, i miei genitori, in visita ad Atene per pochi giorni, sono esausti. Con un occhio alle dirette della Global Sumud, con un altro alla strada, un notturno ci porta tentennante a casa. Dormiamo poco. Aggiorniamo le notizie. Le piazze iniziano a organizzarsi. Incontro il mio coinquilino per la prima volta. Mi saluta velocemente: «I am going to the demo, sorry». Riesco a chiedergli da dove partirà la manifestazione. Ci diamo appuntamento in piazza, recupero i miei. Mia madre sembra felice e mi dice: «Per lo meno manifestiamo qui, almeno se non a casa lo facciamo qui».

Avanziamo tra cori sconosciuti, in una lingua dolce ma per me incomprensibile. Pian piano capiamo, le lotte si connettono, i cori tornano ovvi, impariamo a ripeterlo: “ΛΕΥΤΕΡΙΑ ΣΤΗΝ ΠΑΛΑΙΣΤΙΝΗ” – Palestina libera! Il corteo riempie le strade, si muove dalla metro Panormou all’ambasciata israeliana, la composizione è iper-variegata. Proviamo a tradurre gli slogan sugli striscioni: “Sanzioni allo stato di Israele assassino, rilascio dei prigionieri della Flottilla. Libertà in Palestina”. “Isoliamo Israele, Solidarietà ai fratelli palestinesi”. Il traffico è bloccato, il corteo sembra non finire.

A quel corteo seguono giornate piene, durante la settimana diverse piazze e strade sono presidiate dall’Alleanza Stop the war e dalla Comunità palestinese greca. La manifestazione del 7 ottobre in solidarietà per Gaza, a due anni dall’inizio del genocidio, si conclude con venti arresti e sei feriti a seguito delle cariche della polizia. Intanto, ci si prepara allo sciopero del 10.

Pochi giorni prima, una testata locale riporta il comunicato di Stop the war che richiama a “uno sciopero per la Palestina in risposta alle sporche manovre di Trump con i cosiddetti ‘negoziati di pace’ […]. Vogliamo unirci ad un’onda internazionale di solidarietà con gli scioperi generali in Italia e milioni di manifestanti in tutto il mondo. L’elenco dei sindacati è impressionante e sale di ora in ora, mentre insieme ai lavoratori, studenti e alunni si uniscono alle danze dopo la decisione di OLME (Federazione degli insegnanti delle scuole medie e superiori) di chiudere le scuole con uno stop al lavoro”.

Negli stessi giorni incontro L.; vive ad Atene da ormai sei anni e dice: «Non è che in Italia non mi senta più a casa, ma è come se lo fossi un po’ di più qui». Mi racconta com’è stare qui, e di questo periodo: «Ce n’è sempre una, non temere», mi dice. «Ogni fine settimana c’è una chiamata alla piazza e in questi giorni c’è da essere sempre in giro». L., come altre persone incrociate in questi primi giorni in città, mi spiega la composizione della piazza o, meglio, delle piazze. Il corteo principale partirà da piazza Klafthmonos alle ore 13. La stampa locale conferma l’adesione di più di cinquanta sindacati. Il secondo si muoverà invece alle 19, ripetendo il percorso del 2 ottobre e concludendosi all’ambasciata di Israele. Parteciperanno principalmente il movimento studentesco e i sindacati di ricercatori e docenti.

È il 10 ottobre. Incontro L. in piazza, riusciamo a trovarci solo alla fine della manifestazione. È sera, intorno a noi la gente sembra stanca, ma ostinata a voler continuare a mantenere alta l’attenzione. «C’è bisogno che ora non finisca tutto qui, dobbiamo continuare».

Mi viene in mente che pochi giorni prima mi ero fermata a parlare per strada con una militante dell’area comunista. Mi aveva chiesto da dove venissi – la condanna dell’uso dell’inglese pesa sui rapporti tra visitatori e residenti, un po’ rassegnati alla presenza altalenante di studenti, lavoratori, nomadi digitali. «Italia!», avevo risposto, e lei mi aveva detto che era importante guardare cosa stava succedendo da noi, che «sarebbe importante riuscire a fare così anche qui, anche in Spagna, ovunque».

All’indomani della giornata di sciopero mi fermo a guardare indietro a questa dilatatissima settimana. Come L. non posso che chiedermi cosa succederà ora, dopo l’ufficializzazione del piano di “pace” che ancora una volta porta la firma occidentale e coloniale su un cessate il fuoco dopo un massacro durato due anni.

Nel mentre, passeggiando per la città, guardo i manifesti, giorno per giorno accumulati sui muri di Atene, con la sensazione che siano sempre freschi di attacchinaggio, in aggiornamento continuo come le lotte in questa città. Allo stesso modo, le scritte e le tag “Zionist not welcome”, “Death to the Idf” risuonano per i quartieri. Qualche angolo più in là, nel pieno di Exarchia – ex quartiere anarchico oramai vittima di processi di gentrificazione e speculazione urbana – appaiono nuove scritte: “Burn BNB + Burn the IDF” e ancora “When an Israeli buys your home, OCCUPY THE HOME”. Penso alla concomitanza delle lotte, alle forme multiple di potere e oppressione che si accavallano sugli spazi che attraversiamo, e che ogni giorno proviamo a combattere.

In una città come Atene in cui sembra di non riuscire a stare al passo con il movimento, lo spazio fisico e la sua materialità ci ricorda ogni giorno l’importanza delle alleanze e delle solidarietà che la Palestina ci chiede di costruire. Qualcuno in questi giorni urlava «Volevamo liberare la Palestina, ma è la Palestina che ha liberato noi». Forse è presto per poterlo dire, ma qualcosa si è mosso. L’importante sarà, nelle settimane a venire, continuare a scuotersi, a organizzarsi, a capire che nuova forma vogliamo dare a questa marea che sembra essersi finalmente alzata. (marina volpe)

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