La Puglia alle urne tra bonapartismo e trasformismo

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La Puglia alle urne tra bonapartismo e trasformismo
(disegno di escif)

In un saggio del 1993 dal titolo Democrazia o bonapartismo, Domenico Losurdo si interrogava sul delicato equilibrio che regge le democrazie liberali, fondato su un suffragio universale fragile che rischiava uno svuotamento dall’interno della sua funzione principale: assicurare la rappresentanza di ogni faccia della società. Una deriva che Losurdo vedeva nella crescente concezione della politica come acclamazione di un leader carismatico e investito da una moltitudine variegata e con sempre meno riferimenti, in un mondo che di lì a poco avrebbe visto il pieno compimento della mediatizzazione della politica con l’avvento di Berlusconi al governo. Un bonapartismo soft che anche l’Italia avrebbe ereditato dagli schemi politici statunitensi, fondati su collegi uninominali e leadership riconoscibili, carismatiche ed espressione più di interessi organizzati che di ampie basi sociali.

Questo dilemma si ripropone, oggi, proprio nella regione di provenienza del filosofo: la Puglia. La regione adriatica, ormai annoverata tra le roccaforti del centro-sinistra dopo vent’anni di governo regionale ininterrotto, è chiamata al voto il 23 e il 24 novembre. Un voto che la larga maggioranza dei commentatori ritiene dall’esito scontato, ma che nasconde al suo interno tutte le contraddizioni di una politica ormai sempre meno pratica pubblica e sempre più mera gestione. Una deriva manageriale che si esprime in primis nel candidato favorito alla presidenza: Antonio Decaro. Una carriera politica iniziata come assessore (in quota tecnica) alla mobilità e al traffico della città di Bari della giunta Emiliano, dopo un’esperienza in consiglio regionale, viene eletto sindaco del capoluogo pugliese per due mandati consecutivi. Una figura molto popolare che ha sempre saputo mobilitare un elettorato trasversale, convinto da una pratica amministrativa fondata sulle opere pubbliche, vuoi per una deformazione professionale – Decaro è ingegnere civile –, vuoi perché permettono di fornire una testimonianza materiale dell’operato amministrativo. Un cavalcavia o una strada sono indicatori molto più immediati, ma soprattutto concreti, che può apprezzare anche un elettorato disattento, come quello la cui massima espressione politica si riduce al voto ogni tot. anni. Decaro è l’espressione più riuscita di un modello ben preciso, quello dell’amministratore operoso, che controlla i cantieri in città, che informa la cittadinanza attraverso i suoi canali personali con video e foto, e che parla poco di politica. Una deriva, quella del disaccoppiamento tra politica e amministrazione che in Puglia ha contagiato non poche amministrazioni comunali. A tal proposito, rimane esemplare un’affermazione del sindaco di Conversano – cittadina a trenta chilometri dal capoluogo – che durante un consiglio comunale affermò come lui non facesse politica, bensì il suo lavoro.

Un aspetto complementare a quello della spoliticizzazione delle cariche elettive è quello della formazione di un vero e proprio “blocco di amministratori” che si esprime in una ufficiosa formazione politica: il partito degli amministratori. Una formazione che si è rivelata fondamentale per chiunque abbia aspirazioni di governo in una regione sempre più sbilanciata verso il proprio capoluogo. Difatti, la probabile elezione di Decaro vedrebbe per la seconda volta consecutiva il passaggio dalla carica di sindaco di Bari a quella di presidente della Puglia – dopo l’elezione e i due mandati di Michele Emiliano prima sindaco di Bari fino al 2014 e poi presidente di regione fino al 2025. Ed è proprio il dualismo tra i due “baresi” Emiliano e Decaro quello che ha deciso negli ultimi anni le sorti politiche del resto della regione, specialmente nell’area della città metropolitana di Bari. Secondo uno schema sempre simile. In prossimità delle elezioni comunali nei vari territori, il notabile barese di turno – Emiliano o Decaro – prova a insediare un sindaco “amico”, espressione della propria corrente così da avere più peso con cui presentarsi sul palcoscenico regionale. Un processo che ha permesso a molti personaggi dal percorso politico “indeciso” e accidentato di riciclarsi come “espressione civica di centrosinistra”, nonostante a volte provenissero dal centrodestra. Così da innescare una certa dinamica di sostituzione tra politica e amministrazione, in cui il riferimento nel comune per il “centro” non era più la segreteria locale del principale partito di area, il Partito democratico, bensì l’amministratore – perché portatore di un pacchetto di voti sicuro e testato, e poco importa la sua provenienza politica. Insomma, il “vecchio” trasformismo. Solo che oggi si chiama “civismo”. Il risultato è una classe politica “poco politica” che ha ingrossato le fila del centrosinistra pugliese poiché assicurava loro un posto entro cui perpetuarsi; una “borghesia lazzarona” – definizione di Alessandro Leogrande – incastrata in giochi di potere stantii.

Assistiamo pertanto ad agili cambi di casacca, come quello di Luciana Laera, ex sindaca di Putignano, in provincia di Bari, ed espressione della corrente decariana, ora candidata nelle liste di Fratelli d’Italia; oppure Stefano Lacatena, consigliere regionale uscente passato da Forza Italia alla maggioranza di centrosinistra, non riconfermato ed escluso dalle liste che sconsolato dichiara “probabilmente la mia casa è il centrodestra”.

Il voto di novembre sembra sancire un passo ulteriore verso l’indebolimento della dialettica democratica pugliese, inaugurando una stagione di unanimità. La campagna elettorale e il voto sembrano essere contrattempi sconvenienti davanti a un esito che si preannuncia scontato e con differenze a due cifre tra le coalizioni principali. A destra, hanno temporeggiato fino all’ultimo nell’annuncio dell’agnello sacrificale da immolare sull’altare della certa sconfitta; scelta poi ricaduta su un anonimo tecnico la cui massima esperienza politica è stata perdere contro Emiliano nella corsa a sindaco di Bari nel 2004. Mentre nel centrosinistra – che accoglie un po’ tutti – c’è la corsa alla foto con il presidente in pectore Decaro, per posizionarsi velocemente nella scia del leader che torna nella sua regione dopo un anno “di Erasmus” a Bruxelles, dove il parlamento europeo è ormai appetibile solo per chi vuole poi candidarsi come presidente di regione, o l’ha già fatto e ha terminato i mandati. In tutto questo, ad ammutolire è la politica, la visione di quello che si vuol far diventare la Puglia, una regione al centro di vertenze decennali, come l’acciaieria di Taranto, che però sembra ormai devota solo al turismo, che dopo aver completamente mangiato la costa si sta rivolgendo verso l’interno. La “California d’Italia” che soddisfa sia la domanda di alloggi – sempre meno disponibili per chi risiede – che di stereotipo – con una cultura popolare masticata dalle agenzie di promozione territoriale e risputata in una versione digeribile per ogni visitatore e conforme alle sue aspettative. Davanti al dilemma posto da Losurdo, la regione più a est d’Italia sembra aver deciso che sentiero percorrere. (marco patruno)

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