Anthropic ha capito come fare soldi con le intelligenze artificiali

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Anthropic ha capito come fare soldi con le intelligenze artificiali

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A prima vista, OpenAI e Anthropic sembrano aziende molto simili tra loro: entrambe si occupano di intelligenza artificiale e sono note per un chatbot, rispettivamente ChatGPT e Claude. Ma solo una delle due, OpenAI, ha passato gli ultimi anni a cercare investimenti per progetti sempre più ambiziosi, per un totale di centinaia di miliardi di dollari.

Anthropic, invece, si è concentrata su come monetizzare le tecnologie esistenti, tanto che oggi risulta più vicina a qualcosa che sembra ancora mancare al settore: un modello di business sostenibile. Come scrive il Wall Street Journal, l’azienda prevede di concludere l’anno in corso con 9 miliardi di dollari di entrate, contro i 12 miliardi previsti da OpenAI, e di diventare profittevole entro il 2028. OpenAI dovrebbe riuscirci solo due anni dopo, nel 2030, consumando circa 14 volte la liquidità spesa da Anthropic.

Si tratta di un risultato notevole per Anthropic, specie se si tiene conto che il suo chatbot Claude, con 18,9 milioni di utenti mensili, è molto meno noto e utilizzato di ChatGPT, che ha 800 milioni di utenti settimanali, secondo il CEO di OpenAI Sam Altman. A renderlo possibile sono stati un piano di riduzione delle spese e una strategia aziendale focalizzata su un settore particolarmente redditizio, quello delle AI utilizzate dalle aziende.

Secondo dati forniti da Anthropic stessa, infatti, l’80% delle sue entrate deriva da Claude Enterprise, la divisione che vende servizi a imprese (tra cui IBM) e conta 300 mila utenti. Grazie a questa strategia, oggi Anthropic controlla il 32% del mercato delle AI in ambito aziendale, contro il 25% di OpenAI (che però due anni fa aveva circa la metà del mercato). Inoltre Anthropic ha puntato sin da subito sulla generazione di codice informatico, una delle applicazioni più note dei modelli linguistici, e con il servizio Claude Code oggi controlla il 42% del mercato legato alla programmazione generata dall’AI (contro il 21% di OpenAI).

Proprio Claude Code è stato utilizzato per compiere il più organizzato attacco informatico finora realizzato con l’intelligenza artificiale, denunciato questa settimana da Anthropic, che ha accusato degli hacker cinesi di aver usato il suo software per prendere di mira una trentina di grandi aziende tecnologiche, istituzioni finanziarie, aziende produttrici di sostanze chimiche e agenzie governative. Claude Code ha eseguito più dell’80% del lavoro che solitamente fanno gli hacker umani, mettendoci molto meno tempo.

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Pur essendo meno famosa presso il grande pubblico, Anthropic è una delle aziende più prestigiose del settore e ha ricevuto nel corso degli anni importanti investimenti da Amazon (4 miliardi di dollari) e da Alphabet, il gruppo di cui fa parte Google. L’azienda fu fondata nel 2021 da un gruppo di ricercatori che lasciarono OpenAI per sviluppare un nuovo modello linguistico, che sarebbe diventato Claude. Tra questi c’erano due fratelli statunitensi, Dario e Daniela Amodei.

Le apparizioni pubbliche di Dario Amodei, che è il CEO dell’azienda, sono più rare di quelle di Altman e tendono ad avere un tono meno millenaristico, quanto meno per gli standard del settore. Uno dei suoi interventi più importanti nel dibattito sulle AI è stato un saggio intitolato “Machines of Loving Grace”, pubblicato sul suo blog nel 2024, in cui presentava una visione ottimista sul futuro di questa tecnologia, e criticava la «grandiosità» di alcuni suoi colleghi.

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Amodei ha spiegato di aver lasciato OpenAI perché riteneva necessario avere un approccio più cauto allo sviluppo di sistemi che stavano diventando sempre più potenti. Da allora Anthropic è rimasta piuttosto attenta alla sicurezza degli utenti, soprattutto in confronto a società come OpenAI e xAI, il cui approccio è sempre più spericolato. La cautela di Anthropic non ha riguardato solo il cosiddetto “allineamento”, una serie di procedure finalizzate a rendere le AI più sicure, ma anche, come detto, i suoi business e investimenti.

La scorsa settimana, ad esempio, Altman ha scritto su X che OpenAI sta «valutando impegni per circa 1400 miliardi di dollari nei prossimi otto anni», tra cui accordi per aumentare la propria capacità in termini di data center, i centri di elaborazione necessari alle AI; ma anche investimenti come l’acquisizione di io Products, la startup di Jony Ive, storico ex designer di Apple, che sta sviluppando per OpenAI un dispositivo pensato per interagire con le AI.

Anthropic, invece, ha ridotto il più possibile gli investimenti di questo tipo e ha evitato di espandersi in ambiti come la generazione di video e immagini, che fa invece parte dell’offerta di OpenAI, xAI e Google, tra le altre. Generare questo tipo di contenuti, infatti, è molto costoso in termini sia energetici che di potenza computazionale, e rimane insostenibile a livello economico. Solo questa settimana l’azienda ha annunciato un investimento da 50 miliardi di dollari in infrastrutture per le AI negli Stati Uniti: nel comunicato si sottolinea la natura statunitense dell’operazione, forse per rimediare alle critiche ricevute dall’amministrazione Trump, che ha accusato Anthropic di voler ostacolare lo sviluppo del settore.

Anthropic ha però deciso di non adeguarsi a una tendenza in corso nel settore, per cui sempre più aziende sviluppano chatbot in grado di sostenere discussioni personali e intime con gli utenti. Come si legge sul sito dell’azienda, invece, «Claude è addestrato a mantenere confini netti riguardo all’essere un assistente AI piuttosto che presentarsi come umano», ed è dotato di «molteplici misure» per prevenire interazioni sessuali.

– Leggi anche: Come sono i chatbot di intelligenza artificiale a confronto

Non si tratta solo di una scelta etica: permettere conversazioni erotiche e sessuali con i chatbot, infatti, è un modo (per quanto rischioso) di fidelizzare gli utenti e aumentare le loro interazioni con le AI. Tuttavia, un maggior utilizzo di questi servizi non è necessariamente una buona notizia, almeno dal punto di vista economico, perché porta a un aumento dei consumi e quindi dei costi.

Ciò vale ancora di più se si ricorda che la maggior parte degli utenti delle AI non paga per usarle: nel caso di ChatGPT, solo il 5% dei suoi utenti è pagante, e la maggior parte delle interazioni con il chatbot finisce per costare all’azienda. A gennaio, lo stesso Altman ha confessato che persino alcuni degli utenti ChatGPT Pro, che pagano 200 dollari al mese, rappresentano un costo per l’azienda a causa del loro utilizzo intensivo del prodotto.

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