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ChatGPT per chi soffre di disturbo ossessivo compulsivo

Da tempo si parla del fatto che un numero crescente di persone usa chatbot basati sull’intelligenza artificiale, come ChatGPT o Gemini, come se fossero dei confidenti o dei terapeuti. È una tendenza che nelle persone più psicologicamente più fragili può portare a conclusioni drammatiche, ma molti psicologi e psichiatri hanno avvertito a più riprese che, anche in casi meno gravi, interfacciarsi con un chatbot in un momento di fragilità psicologica può acuire il problema, invece di alleviarlo.

È sicuramente il caso di molte persone che soffrono di disturbo ossessivo-compulsivo (OCD). È un disturbo poco noto e poco compreso, anche se spesso citato per prendere in giro persone molto precise e attente ai dettagli, oppure che amano l’ordine e la pulizia. Secondo varie stime ne soffre tra il 2 e il 3 per cento della popolazione globale.

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Da una parte, le persone che soffrono di OCD hanno dei pensieri ossessivi – intrusivi, ricorrenti e indesiderati – che causano loro intensa ansia e disagio. Dall’altra, sviluppano delle compulsioni – comportamenti ripetitivi o azioni mentali – che si sentono obbligati a eseguire per ridurre l’ansia causata da questi pensieri ossessivi o per prevenire che gli eventi temuti diventino realtà. Questi comportamenti, eccessivi e irrazionali, spesso fanno perdere molto tempo a chi soffre di OCD e rendono difficili le interazioni con gli altri e la vita quotidiana.

Per chi sta in questa situazione il facile accesso all’intelligenza artificiale può essere deleterio, soprattutto quando non si sa ancora di avere un disturbo di questo tipo. Anche per chi è in cura da tempo, però, può essere insidioso, perché offre la possibilità di chiedere un numero potenzialmente infinito di rassicurazioni senza che l’interlocutore si stanchi, si scocci o si preoccupi per l’insistenza come farebbe una persona. Sui canali Reddit dedicati alle persone con OCD questa tendenza si osserva chiaramente: negli ultimi mesi sono state decine le testimonianze di persone che hanno raccontato di rivolgere costantemente a ChatGPT le domande che le ossessionano, finendo per passarci intere giornate.

ChatGPT non è la prima tecnologia a interagire in modo potenzialmente problematico con questo disturbo: ancora prima, c’era chi tendeva ad abusare di motori di ricerca come Google per individuare informazioni che aiutassero a lenire particolari preoccupazioni. I chatbot che usano sistemi di intelligenza artificiale, però, preoccupano maggiormente gli esperti perché simulano conversazioni che sembrano umane in modo molto più convincente, incoraggiando l’instaurazione di un rapporto continuativo, duraturo e tendenzialmente adulatorio.

Stefano Bramante, psichiatra che si occupa molto di OCD, spiega che quasi sempre «i pazienti ossessivo-compulsivi sono molto inibiti e timidi». Dice di aver notato che, in media, tra il momento in cui il disturbo comincia a manifestarsi e la prima richiesta d’aiuto passano almeno sette anni. «Spesso i pazienti non condividono i propri pensieri ossessivi con nessuno e fanno un’enorme fatica a condividerli pure con i terapeuti, quando ci arrivano», dice. In questo contesto, programmi come ChatGPT – percepiti come interlocutori confidenziali, privi di giudizi e anzi pronti ad accogliere in modo positivo qualsiasi cosa scriva l’utente – possono diventare ricettacoli di pensieri intrusivi.

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Una delle persone che ha in cura, per esempio, è ossessionata dall’idea di poter cedere all’impulso involontario di fare del male al partner. «Sente il bisogno di nascondere tutti i coltelli, di mettere dei campanellini sui cassetti che li contengono in modo che facciano rumore in caso, inconsciamente, andasse ad aprire i cassetti per prendere i coltelli», racconta. «E va dall’intelligenza artificiale a chiedere tutti i modi per limare i coltelli perché non siano troppo affilati, o per rendere più rumorosi i cassetti».

Bramante sottolinea che ricorrere a ChatGPT non è necessariamente un male, almeno in alcune circostanze: può succedere, per esempio, che un chatbot a cui vengono sottoposti sintomi di questo tipo avanzi la possibilità che l’utente abbia un disturbo ossessivo compulsivo, e che l’utente scelga quindi di approfondire la cosa e chiedere aiuto a un esperto.

I chatbot, però, non sono programmati per cogliere questi segnali, e tendenzialmente non offrono ipotesi di diagnosi a meno che l’utente non le richieda esplicitamente. Una persona che soffre di OCD ma non lo sa, quindi, potrebbe abusare di ChatGPT per mesi senza rendersi conto di star mettendo in atto il sintomo chiaro di un disturbo. Teen Vogue, per esempio, ha raccolto le testimonianze di due ragazze che, prima di ricevere una diagnosi di OCD, avevano sviluppato un rapporto molto problematico con ChatGPT. Una di loro, Kate, ha raccontato che nei momenti di maggiore difficoltà passava fino a quattordici ore al giorno a interagire con ChatGPT, sottoponendogli nel dettaglio ogni interazione avuta con amici e conoscenti per assicurarsi di essersi comportata nel modo migliore possibile. L’altra, Shannon, ha detto di aver passato in media una decina di ore al giorno su ChatGPT per settimane, facendo domande sempre più specifiche per cercare di placare le proprie ansie irrazionali.

«L’accesso illimitato a un sistema che risponde in modo apparentemente personalizzato e inesauribile può peggiorare la situazione invece che aiutare, ritardando l’accesso gli approcci terapeutici», riassume Alessandro Marcengo, referente dell’area dedicata al disturbo ossessivo-compulsivo del Centro di psicoloterapia cognitivo-comportamentale Galileo Ferraris.

Tutti chiedono rassicurazioni per le proprie ansie, ma nel caso delle persone che soffrono di OCD queste richieste assumono un ruolo disfunzionale: la persona si convince di poter trovare sollievo dall’ansia soltanto attraverso la rassicurazione, ma quando la ottiene scopre di esserne soddisfatta soltanto per pochi istanti, e quindi torna a cercare rassicurazioni in un processo potenzialmente infinito.

La ricerca di rassicurazioni – anche attraverso programmi come ChatGPT – «riduce transitoriamente l’ansia, ma mantiene il ciclo ossessivo-compulsivo e ostacola l’elaborazione dell’incertezza», spiega Marcengo. Uno degli obiettivi principali della terapia per chi soffre di OCD è ridurre progressivamente il ricorso alle rassicurazioni, portandole a convivere con l’ansia e accettarla senza ricorrere a comportamenti compulsivi.

Anche per le persone diagnosticate che convivono da tempo con il disturbo e sanno come gestirlo, però, la tentazione può essere difficile da resistere. Samuele Maccolini, autore di VD News che si è spesso occupato di salute mentale, convive con l’OCD da quando era adolescente. Segue un percorso psicoterapeutico da anni, aiutato anche da una terapia farmacologica, e conosce molto bene i modi in cui funziona il proprio cervello. Eppure racconta di esserci brevemente cascato anche lui, in un momento di particolare difficoltà, quando aveva smesso di essere preso in carico da una psicologa e doveva ancora cominciare a vederne un’altra.

«Nel mio caso, è stato istintivo rivolgermi a ChatGPT in un momento in cui ero piuttosto solo da un punto di vista terapeutico», racconta. «Ci tornavo varie volte al giorno, la sera mi mettevo lì e cercavo di risolvere tutti i dubbi che erano emersi durante la giornata. Ci ho messo diversi mesi ad accorgermi che questa cosa non mi aiutava per niente: non faceva altro che darmi ragione e assecondarmi, benché i miei schemi mentali non fossero affatto funzionali».

Racconta una storia simile Mariagiulia, che ha 23 anni, ha una diagnosi di OCD da un anno e mezzo, e ha chiesto di essere citata solo per nome per parlare più liberamente del proprio disturbo. «Uno dei miei temi centrali sono le questioni morali: metto in dubbio il mio essere una brava persona, tra virgolette, e mi preoccupo di aver avuto degli atteggiamenti problematici nei confronti dei miei affetti», spiega. In un momento di particolare difficoltà ha cominciato a chiedere aiuto anche a ChatGPT, sottolineando di essere una persona con questo tipo di diagnosi. L’ha usato varie volte per degli scambi brevi e puntuali, fin quando una volta si è resa conto di star ponendo domande sempre più specifiche e ansiose, riconducibili a delle richieste compulsive di rassicurazione.

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«Il problema è che l’OCD intacca molto la tua capacità di credere di poter stare nella società come persona funzionante, o fondamentalmente buona», dice. «Quindi rivolgerti a qualcuno che non è davvero una persona, come ChatGPT, ti fa sentire al sicuro perché hai quantomeno la certezza che un’intelligenza artificiale non puoi ferirla o danneggiarla, al contrario di una persona vera».

Anche per questo, lo psichiatra Bramante dice di aver cominciato a chiedere a tutti i pazienti che ha in cura del loro rapporto con questo genere di chatbot. Tradizionalmente, infatti, i terapeuti che si concentrano sull’OCD lavorano a una sorta di “mappatura” del sistema relazionale del paziente per assicurarsi che i familiari o le persone che gli stanno vicine non alimentino, anche involontariamente, i suoi rituali compulsivi. Ora, spiega, è necessario indagare anche il rapporto con eventuali chatbot per lo stesso motivo.

Molte persone che soffrono di OCD, comunque, sanno che potrebbe essere un problema e stanno cercando delle soluzioni. Su Reddit, per esempio, circola un prompt da inserire all’inizio della propria conversazione con ChatGPT per renderlo meno amichevole e adulatorio possibile, e per non assecondare potenziali richieste insistenti.

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