Zero possibilità di fraintendimento. De Laurentiis impara la lezione e sceglie con parsimonia le parole da cinguettare sui social, limita il numero di parole, ne scrive giusto cinque facendo attenzione ad usare quelle giuste per non generare nuove reazioni di Conte. Suggeriamo, per evitare altri piccoli incidenti social, di suggellare il momento creando il profilo combinato ‘AurelioAntonioDeLaurentiisConte’. Sarebbe meraviglioso. I due, a differenza di chi racconta chiacchiere, hanno un gran rapporto.
Uno il rigore, sbagliato da Hojlund. Eh già, cari fenomeni da tastiera, con Kevin lo davate per scontato che i rigori si segnassero. E invece no, pure quelli devi saperli realizzare. Calcia male Rasmus, che sul volto c’aveva già disegnata una tensione che poi si è riversata nel tiro abbastanza prevedibile. C’è però una nota positiva: si vede che sta male senza il gol, sta soffrendo tanto. Non a caso, dopo l’errore, ha provato ogni modo a sbloccarsi. Per una punta, quella fame, è fondamentale. Si sbloccherà presto.
Due rintocchi in fila, le campane risuonano nuovamente a festa dopo la grande paura, quella di essersi infilati in un tunnel che chissà quando finiva. Atalanta e Qarabag per nutrire quell’animale insaziabile che è l’autostima, per prendere confidenza con un modulo che pare essere molto bilanciato. “È quasi sempre bello se dal buio arriva il giorno”. Coez dixit. E tiene ragione
Tre gare da giocare in Champions: Benfica, Copenaghen e Chelsea definiranno i destini europei. Serviranno 4/5 punti per stare nella zona play-off, magari 7 per provare a strappare un posto come testa di serie agli spareggi. Troppo presto per fare calcoli, è chiaro che tutto passa dalla voglia di sacrificarsi per ottenere certi risultati. Lo ripetono Conte e Di Lorenzo nel dopo gara. D’altronde “Aniello ‘ca nun se pava nun se stima”.
Quattro giorni e l’orizzonte si fa giallorosso, per una sfida che ha il sapore di Sud. La Roma non è una sorpresa, chi la sottovaluta ha vissuto su Marte negli ultimi undici mesi, perché è la squadra che ha raccolto più punti nell’anno solare. È un progetto su cui si sono posate le mani attente di Ranieri, rinvigorito ora dalle idee di un grande allenatore come Gasperini.
Cinque anni, eppure. Eppure non c’è soluzione di continuità in questo rapporto, nessuna crepa, nessun ripensamento. Napoli e Maradona si sono scelti per sempre, lo hanno fatto ben prima di incontrarsi, erano destinati ad incontrarsi, spinti da un fato inevitabile. In tutte le strade, su tutte le mura, in ogni discorso, Diego c’è, anche se non lo vedi. Un Diego sospeso, come il caffè, un’abitudine quotidiana.
Sei alla messa cantata di Fabio Caressa, che ad un certo punto della telecronaca esclama ‘Duran Duran’ e davanti agli occhi ti appare Simon Le Bon, il Drive In, i paninari ed i meravigliosi anni novanta. Ci informa poi dei trascorsi nel Futsal di qualche giocatore del Qarabag e dei tocchi col pallone con la suola. Interessante come un corso in cecoslovacco di Excel.
Sette alle pezze sparse che Buongiorno mette nella trama della partita. A fine primo tempo compie un salvataggio in extremis, come quando riesci ad abbassare il coperchio della macchinetta del caffè un secondo prima che trasformi la tua cucina in un geyser. Riesce quasi sempre, anche in equilibrio precario, a sporcare il pallone all’avversario e complicarne la giocata. Quando sta bene è un fattore.
Otto all’audacia di Conte, che capisce l’andazzo simil Eintracht e allora cambia modulo e si schiera ultra offensivo. Un sistema impreziosito dai tempi di inserimento perfetti di Di Lorenzo, che sfiora il gol nel primo tempo (ma inciampa) e si conquista un rigore. Bravo il mister a cambiare, sempre funzionale il Capitano che in troppi avevano attaccato, anche in maniera irrispettosa. Se la squadra gira, Di Lorenzo è un valore aggiunto.
Nove al replay della giocata più attesa della quinta stagione di Stranger Things. Quando sul finire del primo tempo, sul guizzo di un Lang in costante crescita, David Neres si inventa un’acrobazia da uscire fuori di testa tutti aspettavamo solo il replay. Per capire! Come avesse fatto, cosa avesse fatto! Una giocata pazzesca di un pazzesco Neres, mai banale, sempre dritto al punto: David vuole incidere, non s’accontenta di seguire lo spartito, lo strappa, ne riscrive uno tutto suoi fatto di tanti acuti. Oggettivamente, devastante. Sulla sua fascia ci sono ancora le scie come i segni nel grano al passaggio degli alieni. Mai più senza David Neres dal primo minuto. Mai più. La scioccante notizia è che non sia un titolare inamovibile.
Dieci al nuovo culto consacratosi nel tempio di D10S: il McTominesimo. Scott, comunque Scott, dovunque Scott quando c’è da segnare un gol che pesa più degli altri. Gioca un primo tempo brutto assai, poi si cala dall’alto come un deus ex machina per risolvere la tragedia e concluderla col lieto fine. Ammirevole la sua capacità di determinare il risultato delle gare, ricorda Orson Welles nel Quarto potere che ricorda al mondo: “Solo una persona può decidere il mio destino, e quella persona sono io”. E noi siamo pronti a venerarti McTominay.
