Emergenza sanitaria e sovraffollamento. Il carcere di Matera visto da dentro

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Emergenza sanitaria e sovraffollamento. Il carcere di Matera visto da dentro
(archivio disegni napolimonitor)

La scorsa estate, a seguito di ripetute tensioni createsi all’interno del carcere di Matera, una certa attenzione mediatica si concentrava sul funzionamento dell’istituto e sulle sue criticità. Dopo una visita alla casa circondariale, la garante regionale per i detenuti Tiziana Silletti denunciava una situazione insostenibile in termini di sovraffollamento, con 197 detenuti a fronte di 132 posti (dato coerente con quello di tutte le strutture della regione Basilicata, che si attesta sul 144 per cento). Poche settimane dopo, l’associazione Luca Coscioni, che aveva lavorato a un report sulla situazione sanitaria delle carceri della regione, comunicava che l’azienda sanitaria materana non aveva fornito alcuna documentazione a dispetto della richiesta di accesso civico agli atti.

Con il passare dei mesi, a dispetto di una situazione rimasta pressappoco immutata, l’interesse per le condizioni del corpo detentivo dell’istituto materano sembra essersi sopito. Nel tentativo di rialzare il livello di attenzione su quanto accade in quel carcere, e ovviamente in tanti altri istituti del paese, pubblichiamo a seguire un resoconto della dottoressa Maria Clara Labanca, medico penitenziario e membro dell’associazione Yairaiha.

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Celle sovraffollate, personale sanitario insufficiente e accesso alle cure estremamente limitato: questa è la realtà quotidiana del carcere di Matera. La struttura, progettata per centotrenta posti, ospita stabilmente oltre centosettanta detenuti, con punte superiori alle duecento unità. In questo contesto, il diritto alla salute dei detenuti risulta sistematicamente compromesso.

Il presidio sanitario funziona in maniera frammentaria. La mattina non è presente alcun medico, e a volte il peso della gestione di casi clinici complessi ricade sugli infermieri, costretti a intervenire senza supervisione diretta. Le visite mediche, effettuate nel pomeriggio, si svolgono in modo molto concitato a causa della carenza di personale di polizia che limita gli spostamenti dei detenuti. Questo comporta un aumento del rischio di diagnosi incomplete, visite superficiali e ritardi nella presa in carico di patologie rilevanti. Di notte, tutte le emergenze ricadono su un unico medico, senza supporto infermieristico, compromettendo ulteriormente la capacità di intervento tempestivo.

La salute mentale dei detenuti è un ambito particolarmente critico. Lo psichiatra effettua interventi solo due ore a settimana, a fronte di un numero elevato di soggetti con disturbi psichici spesso associati a problemi di tossicodipendenze. In assenza di percorsi terapeutici strutturati, molti di essi vengono trattati con psicofarmaci senza adeguato inquadramento diagnostico, aumentando il rischio di effetti collaterali e senza risolvere le problematiche esistenti. Inoltre, alcuni agenti penitenziari esercitano pressioni indebite sui medici affinché somministrino sedativi o ipnotici, trasformando il trattamento psichiatrico in strumento di controllo piuttosto che in intervento terapeutico. Non sono neanche infrequenti episodi di tensione tra personale sanitario e di polizia penitenziaria, di fronte a un rifiuto da parte del medico nella prescrizione di questa tipologia di farmaci. La carenza di supporto psicologico e di personale qualificato determina un peggioramento dei disturbi psichici, con ricadute sulla sicurezza interna e sul benessere dei detenuti.

Le visite specialistiche rappresentano un ulteriore fattore di criticità. Consultazioni come quelle gastroenterologiche, infettivologiche o oculistiche possono richiedere mesi di attesa, talvolta oltre un anno. Le carenze nell’ambito del Nucleo Traduzioni, incaricato di accompagnare i detenuti agli appuntamenti esterni, provoca rinvii sistematici. Anche quando l’azienda sanitaria fissa regolarmente gli appuntamenti, questi spesso non vengono rispettati perché non viene presa visione delle comunicazioni e delle prenotazioni, privando i detenuti delle cure pianificate.

Molti detenuti si trovano in condizioni di grave criticità clinica a causa di patologie acute o croniche, ma la presa in carico è frequentemente ritardata o inadeguata. Il trasferimento verso strutture idonee è subordinato alla produzione di documentazione che attesti l’incompatibilità con il regime detentivo, determinando ritardi nell’accesso a interventi sanitari appropriati e, in alcuni casi, esiti clinici sfavorevoli.

Le strutture e le attrezzature sanitarie risultano insufficienti. Mancano cartelle cliniche informatizzate, dispositivi diagnostici e terapeutici adeguati e personale specializzato in grado di utilizzarli. La combinazione di infrastrutture carenti e organico ridotto compromette la tempestività nell’identificazione e nel trattamento delle patologie, riducendo significativamente la qualità della presa in carico sanitaria.

Il sovraffollamento e la carenza di personale di sicurezza aggravano ulteriormente la situazione. Le quattro sezioni della struttura – Accoglienza, Giudiziario, Sirio e Pegaso – ospitano centinaia di persone in spazi inadeguati e obsoleti. Le carenze di personale complicano la gestione dei piantonamenti ospedalieri e delle udienze, spesso impossibili da svolgere tramite collegamento da remoto.

Tuttavia, il carcere di Matera è solo l’emblema di un sistema penitenziario in crisi. Sovraffollamento, carenze di personale e un presidio sanitario inadeguato espongono quotidianamente i detenuti a rischi clinici significativi. Senza interventi strutturali urgenti, la detenzione rischia di trasformarsi in un tempo sospeso, in cui i diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla salute, restano sistematicamente negati. (maria clara labanca – associazione yairaiha ets)

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