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Googlare non è più come una volta

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Lo scorso aprile il numero di ricerche fatte con Google su Safari, il browser di Apple, è diminuito per la prima volta in 22 anni. A dichiararlo è stato Eddy Cue, responsabile dei servizi di Apple, nel corso di un’udienza del processo sulla concorrenza che sta interessando Google.

La notizia ha fatto molto discutere perché sembra confermare un sospetto diffuso nel settore, secondo il quale l’utilizzo di intelligenze artificiali generative starebbe sostituendo almeno in parte i motori di ricerca tradizionali. Conferma anche un dato rilevato già nel 2024, quando per la prima volta dal 2015 la percentuale di mercato controllata da Google era scesa sotto il 90 per cento (ad aprile era all’89,65 per cento): molti analisti hanno attribuito questo calo proprio alla concorrenza dei chatbot e delle AI generative.

La convinzione che i motori di ricerca per come li abbiamo conosciuti siano in crisi circola dalla fine del 2022, quando OpenAI rese disponibile online ChatGPT, che oggi è il chatbot più utilizzato al mondo. All’epoca Google dichiarò un «codice rosso» interno (un livello di emergenza molto alto) perché considerava ChatGPT una minaccia alla ricerca tradizionale nel web, e quindi a se stessa. Il timore era che sempre più utenti si abituassero a chiedere informazioni direttamente a un chatbot, invece che cercarle su Google, minando alle fondamenta il modello di business dell’azienda e buona parte del web.

Da allora Google ha presentato molti prodotti basati sulle intelligenze artificiali generative. Al centro della sua strategia c’è Gemini, una famiglia di modelli linguistici di grandi dimensioni (l’equivalente di GPT-4 per OpenAI).

Gli investimenti di Google in questo campo sono stati i protagonisti di Google I/O, l’annuale conferenza dedicata agli sviluppatori web, che si è tenuta questa settimana. Tra le novità annunciate c’è stata AI Mode, una nuova funzionalità che unisce il motore di ricerca alle capacità comunicative di un chatbot. Con AI Mode, che per ora è disponibile solo negli Stati Uniti, è possibile dialogare con il motore di ricerca come fosse un normale chatbot, facendo domande e chiedendo spiegazioni. Il servizio può anche risalire a informazioni sulle ricerche effettuate in precedenza e sulla posta elettronica dell’utente.

Questo approccio conversazionale applicato alla ricerca nel web non è in realtà una novità. Una startup statunitense chiamata Perplexity lo propone da tempo, così come OpenAI, che lo scorso anno ha presentato un servizio simile. Il fatto che sia Google a farlo è però notevole di per sé, visto il ruolo che da sempre l’azienda ricopre in questo settore.

Il CEO di Google Sundar Pichai ha definito AI Mode «un ripensamento radicale della ricerca». Sin dalla sua fondazione nel 1996, infatti, Google ha sempre risposto alle richieste degli utenti con una lista di dieci link per pagina, disposti in ordine di rilevanza secondo innumerevoli parametri, il cosiddetto “algoritmo”, dietro al quale si cela un sistema complicato e a tratti misterioso. Con AI Mode – così come con Google Gemini – questo non accade più: come ha scritto la stessa azienda nel suo blog, è Google che cerca su Google al posto nostro. All’utente non resta che leggere la risposta generata dal sito.

In un’intervista con il sito The Verge Liz Reid, capo della ricerca dell’azienda, ha definito la tradizionale pagina in cui Google mostra i risultati di ricerca «un costrutto», una sorta di compromesso reso necessario dalla struttura del web in un’epoca ormai passata, in cui l’unico modo di dare risultati era offrire dei link. «Oggi i migliori modelli di intelligenza artificiale sono in grado di superare quella struttura, trovando e riassumendo informazioni da fonti diverse», ha spiegato.

Nel maggio del 2024 l’azienda aveva presentato AI Overview, una funzione con cui genera risposte scritte alle domande degli utenti, posizionandole in cima ai risultati. Gli effetti della novità, da marzo disponibile anche in Italia, si stanno già facendo sentire: secondo l’azienda, infatti, chi utilizza le AI Overview tende a fare più ricerche di prima. Come ha spiegato lo stesso Pichai sul palco di Google I/O, le risposte di AI Overview spingono gli utenti a utilizzare di più il servizio, anche se in modo diverso. Il numero di ricerche effettuate su Google, quindi, sarebbe diminuito solo su Safari, mentre risulterebbe in aumento in generale.

– Leggi anche: Cos’è questo “AI Overview” che vi appare su Google

Un’altra conseguenza di AI Overview riguarda invece i risultati di ricerca tradizionali, che hanno registrato un calo del 30 per cento nelle interazioni con gli utenti, e cioè nel numero di clic registrati. Sempre più utenti, infatti, ottengono la risposta che cercavano da AI Overview senza bisogno di aprire pagine web. Tutti questi clic mancati hanno serie conseguenze sull’economia del web, visto che il traffico sui siti si basa in buona parte su quello garantito dai motori di ricerca.

I siti di ogni tipo, dall’e-commerce alle testate giornalistiche, infatti, sono abituati a usare una serie di tecniche per ottimizzare i propri contenuti e raggiungere posizioni migliori nei risultati dei motori di ricerca (la cosiddetta SEO). Al momento non è chiaro quanto questo sarà efficace in futuro, né che cosa la sostituirà. Secondo il sito specializzato in motori di ricerca Search Engine Land, al momento Google non condivide i dati relativi al traffico proveniente da AI Mode negli Stati Uniti. Ciò significa che gli amministratori dei siti web non possono sapere quante persone visitano le loro pagine attraverso questa nuova funzionalità di Google.

– Leggi anche: È iniziato il processo che potrebbe spezzare Google in due

La scommessa sulle AI generative è molto rischiosa anche per Google, che si ritrova in una situazione complicata. Da un lato deve difendere il paradigma della ricerca online, fondamentale per il suo business; dall’altro è costretta a inseguire aziende come OpenAI, che propongono un modello radicalmente diverso.

L’idea di lasciare che sia Google a cercare informazioni sul web al posto nostro è in realtà in sintonia con un’altra tendenza del settore, quella dei cosiddetti «agenti AI», in grado di compiere azioni anche complesse online, al posto degli utenti. L’esempio tipico riguarda la spesa: in futuro, secondo alcuni, basterà spiegare a un chatbot cosa si vuole cucinare nei giorni successivi e un agente penserà a ordinare la spesa necessaria. Lo stesso si potrà fare organizzando vacanze o altri eventi, lasciando che sia l’AI a confrontare le offerte e prenotare.

È opinione diffusa nel settore delle AI che in futuro il web sarà popolato da agenti AI di ogni tipo, sempre più capaci e indipendenti (Project Mariner, un servizio sperimentale presentato questa settimana da Google, sembra andare proprio in questa direzione). Alla luce di questo, l’idea che Google usi Google al posto nostro per trovare le informazioni che cerchiamo online può essere vista come la prima fase di una più ampia strategia in cui l’utente delega sempre più azioni alle AI. Non è un caso che, tra le promesse fatte da Google per il futuro di AI Mode ci sia anche quella di un “agentic checkout”, in cui saranno le AI a comprare prodotti online al posto nostro.

– Leggi anche: Perché Sam Altman vuole i nostri occhi?

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