
Si chiamava Cie (Centro di Identificazione e di espulsione), però era già molto conosciuto come carcere per stranieri. Allora il governo italiano, per confondere la società e lasciarla disinformata, ha cambiato il nome in Cpr (Centro di permanenza per il rimpatrio). Con la difficoltà di comunicazione gli abitanti di questa penisola vivono per la maggior parte disinformati. Qui a Torino il Cpr ha riaperto questa primavera.
Un mese fa ero al presidio sotto il Cpr di corso Brunelleschi. Era un sabato, io sono straccivendola abusiva e dopo il mercato del Balon mi sono direzionata al movimento di resistenza. L’appuntamento per il presidio era alle 16 e io sono arrivata alle 19 dalla parte dell’entrata principale. Il movimento nella strada e l’eco del vuoto mi facevano avere passi decisi mentre fotografavo le mura indegne di questa prigione. “Fuoco ai CPR” era la scritta in rosso a bella vista in un quartiere silenzioso, oppressore e complice del campo di prigionia che trattiene esseri umani senza una carta di soggiorno.
Nel prato di corso Brunelleschi le macchine accompagnano il semaforo, mentre davanti al muro, nell’angolo della via, davanti a me sbuca la macchina degli sbirri nel suo blu celeste colore della Madonna. I salvatori dall’ardore infernale mi fermano sul viale mentre cammino verso la fermata. Il poliziotto esce e urla: «Ferma!».
Bloccata nel viale invio subito un vocale mentre il discepolo stradale mi chiede: «Documento?». Dico la mia generalità e nel confronto lo sbirro chiede se so il significato di “generalità”. Rimaniamo per quasi venti minuti a fare ricerca su di me. Dico che abito da vent’anni in Italia, neanche così: «Permesso di soggiorno!», «Carta di identità!», ma la carta è solo solo carta e la carta brucerà.
Ferma, fisso negli occhi quello che fa la ronda sulla vita delle persone. In dieci minuti si aggiunge la macchina della finanza con i rinforzi, mi ordinano di posare il telefono, dicono che loro sono educati e pazienti: ecco tutti angeli scesi dal Paradiso. Arrivano i compagni e prendono un ruolo nel presepio, poi gli asini della Digos a confermare la mia liberazione.
Dopo questa scena la vita procede quotidiana per le vie di Torino. Il 25 aprile, giorno della Liberazione, c’è una biciclettata e ha portato calore musica e tante urla davanti al Cpr. «Hurrya, libertà, freedom!». Scambio di messaggi con conflitto. Mentre urlavamo, da dentro loro gridavano: «Non abbiamo la libertà!». Dentro di me un vuoto e poi niente, niente, non c’era senso, neanche la musica, nessun senso, nessun perché di quelle mura. Perché siamo così pochi? Perché il vicinato accetta quelle mura? Anzi, ci sono due, tre maledetti che dentro casa urlano che gli stranieri devono morire, marcire dentro i Cpr.
Continua il 25 aprile di Torino, è festa: gli americani li hanno salvati, ottant’anni fa, e oggi sono gli stranieri i pericolosi, ma gli stranieri non hanno armi, non hanno neanche le possibilità di avere una penna e un quaderno per andare a scuola, non hanno residenza, vivono in cantina come topi, urinano ovunque nei bar mentre fanno una colazione veloci, vivono nel subprecario perché i padroni non vogliono che esistano.
Fine aprile, arriva il messaggio di una rivolta in corso Brunelleschi. Ognuno segue la propria vita, così all’improvviso il senso di colpa consuma tutto il tuo corpo e non puoi scapparne anche se sei sotto le coperte con il corpo che chiede riposo. Resistere alla stanchezza e fare un salto verso l’armadio a cercare all’improvviso una maglia per andare da loro, da chi si rivolta. Ancora siamo lontani a prendere una bazooka e far detonare quelle mura.
Sono le dieci di sera e non c’è tanto da pensare, si va il più veloce possibile. Ho scelto il pullman, ma come sempre a Torino, una periferia che vuol travestirsi da metropoli, niente funziona. Si arriva in pullman, bici, macchina, tram: l’importante è esserci. Finalmente si arriva e il calore della resistenza è fare un piccolo corteo, con le proprie forze si trovano i vecchi compagni di strada e anche nuove figure che con sorrisi salutano e le urla oltrepassano le mura. Si sentono i ragazzi, si scambia numero di telefono, si chiede come stanno. Loro chiedono la musica che piace: Clandestino.
Nel prato gira voce che c’è un ferito, uno in sciopero della fame da dieci giorni in quelle mura maledette e semplicemente perché l’Italia e la sua cupola hanno deciso di sacrificare gli innocenti. Il Papa è morto! Nessun politico nelle vicinanze. Un noto avvocato è passato e ci dice che non lo hanno lasciato entrare, è lì come noi, come uno di noi.
È passata mezzanotte, non abbiamo acqua, una birretta nemmeno e non sappiamo neanche come ritornare. Gli sbirri sono lì a osservare le nostre facce già conosciute. Uno spreco di tempo: i burattini del presepio come asini ad aspettare la briciole di pagnotta su racconti fittizi. È passata l’una e ci si saluta con un ciao ragazzi, resistete, non siete soli. Siamo con voi!
Già è il primo maggio e il Cpr di Torino è in rivolta. A Brindisi in Puglia muore uno straniero, dicono che si è suicidato. Un inizio di rivolta a Torino e uno straniero morto nel Cpr di Brindisi in un primo maggio è una grande scintilla per una rivoluzione. Al corteo del primo maggio i leninisti addestrano gli stranieri in regola; nel centro di Torino la sfilata per i diritti lavorativi porta a tante belle parole con l’accento del latino perfetto, mentre i corpi marciscono dentro le mura del Cpr, gli stessi loro paesani. Importa sventolare le bandiere, così siamo apparentemente più cittadini.
Ritorniamo al Cpr per un nuovo saluto, alle sette, con il corpo stanco ma ad alta voce, ognuno con le proprie possibilità mentre nel viale l’anziana con il suo girello prendeva l’aria, il signore con i suoi cento chili sedeva con le gambe larghe sulla panchina lungo il viale di corso Brunelleschi ad ammirare i rivoltosi contro il lager di Torino. Come un cinema all’aperto solo lui era il protagonista della propria solitudine. Fuochi pirotecnici brillavano nel cielo mentre gli angioletti travestiti da traditori passavano appoggiati alle macchine blu.
Il traffico va in tilt mentre appaiono due demoni dal tetto del palazzo in costruzione, con le ali della libertà annunciano: «Fuoco ai Cpr!». Si disperde il presidio e il primo maggio prende il volo con l’annuncio indemoniato. Ricordiamo la notte precedente quando il Cpr di corso Brunelleschi è andato in scintille e il fuoco è apparso come simbolo di resistenza degli ultimi stranieri a Torino. Nel viavai dei soccorsi un eroe era evaso. (claudia muniz)