Le case dei sogni, venerdì al festival Libbra. Un estratto del volume

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Le case dei sogni, venerdì al festival Libbra. Un estratto del volume
(copertina di roberto-c.)

Sarà presentato venerdì 2 maggio, per la prima volta a Napoli, Le case dei sogni. Inchiesta sul turismo nel centro storico di Napoli, di Barbara Russo. La presentazione è una delle iniziative di Libbra, il festival delle Librerie indipendenti in relazione della città, e si svolgerà alle 19.30 allo Scugnizzo Liberato (salita Pontecorvo, 46). 

Pubblichiamo a seguire un estratto del libro. 

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Nonostante sia di recente sviluppo, il settore delle locazioni turistiche a Napoli ha già conosciuto trasformazioni rilevanti. Dal 2014 al 2019 l’offerta di affitti brevi si è quadruplicata e concentrata nelle mani di pochi investitori. Nel 2015 gli annunci offerti su Airbnb erano meno di duemila, e di questi solo il trenta per cento era gestito da host con più annunci in piattaforma; mentre degli 8.500 annunci presenti nel 2019, il sessanta per cento era gestito da multi-host. Oggi la maggior parte delle offerte non riguarda più camere singole in appartamenti condivisi, ma appartamenti interi occupati per più di sessanta giorni all’anno. Si tratta, dunque, di attività professionali, piuttosto che di attività di sostegno al reddito – perno retorico su cui ha puntato la piattaforma Airbnb fin dalla sua nascita. Le idee di informalità e ospitalità sono progressivamente svanite di fronte a una crescente formalizzazione. Lo stile dell’offerta rimanda oggi alla professionalità di un albergo, ribadita anche dal prezzo medio richiesto per notte (107 euro secondo InsideAirbnb), di gran lunga superiore alle tariffe iniziali. Infine, questi processi riguardano annunci localizzati in zone sempre più ampie della città, sconfinando dai quartieri in cui l’offerta si era concentrata nei primi anni – centro antico e Quartieri Spagnoli – verso altre zone residenziali fuori e dentro il centro storico.

L’insieme di queste trasformazioni rivela una tendenza, osservata anche in altri contesti urbani, che riguarda l’iniziale adozione del modello proposto da Airbnb soprattutto nei quartieri caratterizzati da redditi medio-bassi e tassi di disoccupazione maggiori. In questa prima fase, segnata da un alto grado di informalità e prezzi contenuti, l’offerta ricettiva è gestita direttamente da chi abita la casa, che spesso è a sua volta in affitto e sacrifica porzioni dell’abitazione per accedere a nuove forme di reddito e d’impiego. In un secondo momento, dopo aver testato il funzionamento del modello, chi affitta si rende conto che per ottenere un guadagno soddisfacente deve modificare l’offerta; laddove è possibile vengono quindi messe a profitto più stanze o interi appartamenti.

È in questa seconda fase che si inseriscono i proprietari di casa, alla ricerca di una fonte di rendita e non di un nuovo lavoro. Questa “seconda generazione” di host predilige le locazioni turistiche a quelle tradizionali, per evitare di confrontarsi con le esigenze degli inquilini e mantenere la casa in una posizione di maggiore flessibilità, oltre al fatto che i guadagni possono essere di gran lunga maggiori. Subentra così un nuovo attore, l’intermediario immobiliare, il cosiddetto property manager, colui che assume il rischio imprenditoriale e gestisce la casa per conto del proprietario.

Due storie mostrano il susseguirsi di questi passaggi, tra il 2012 e il 2020, nei due quartieri in cui l’industria turistica è cresciuta più velocemente: il centro antico e i Quartieri Spagnoli, abitati da una popolazione mediamente impiegata in lavori poco redditizi e precari, disposta a cogliere le possibilità di guadagno derivanti dall’economia delle piattaforme anche a costo di sacrificare alcuni spazi della propria casa.  

Vera e Pietro hanno gestito un b&b per cinque anni, dal 2014 al 2019, nella casa in cui vivevano in via Santa Chiara, nel cuore del centro antico. Quando vi si trasferirono era il 2009 e arrivavano da dieci anni di instabilità abitativa. Per aiutarsi con le spese del fitto – Pietro percepisce la pensione, mentre Vera abbina un lavoro precario al suo mestiere di artigiana – svolgevano delle attività con i turisti: “Attraverso un amico che fa la guida turistica – racconta Vera – organizzavamo delle lezioni di cucina per gli americani, in cui si cucinava e si mangiava insieme”. Nel 2014 decisero di affittare ai turisti la camera di una figlia che nel frattempo si era trasferita: “All’epoca si cominciava a parlare di Airbnb, così quando Eleonora è andata via e si è liberata una stanza, un amico ci spiegò come inserire l’annuncio nella piattaforma”.

Airbnb nasce al culmine della crisi del mercato immobiliare del 2008, proponendo un modello del tutto esternalizzato, capace di rilanciare l’economia della rendita: l’azienda non possiede gli appartamenti che offre in locazione, ma si limita a gestire l’interazione tra locatori e ospiti, guadagnando con l’aumentare delle interazioni sulla piattaforma, oltre che da una percentuale che viene trattenuta da ogni prenotazione online.

Per affermarsi a livello internazionale, Airbnb ha usato una serie di strumenti simbolici che l’associano a un immaginario ben preciso. L’idea del “sentirsi ovunque a casa propria” porta a concepire il servizio offerto come un servizio non specializzato, ma di “autentica ospitalità” per i turisti.

Il b&b di Pietro e Vera, nato in un periodo in cui il turismo extra-alberghiero era ancora di nicchia, rispecchia le intenzioni con cui la piattaforma si è fatta conoscere. Vera racconta che inizialmente non era possibile considerare la gestione del b&b come un lavoro a tempo pieno: “La maggior parte delle persone fitta la casa e basta, noi invece provvedevamo a tutto: mi svegliavo la mattina molto presto per organizzare la colazione e apparecchiare, poi c’era il momento in cui proponevi le visite e organizzavi le giornate anche a loro; dopodiché andavano via e c’erano il rassetto e le pulizie; la sera, quando tornavano, ti raccontavano la loro giornata; se c’era un’uscita o un’entrata, avevi la biancheria da lavare e da stirare… Lavoravo tanto, ma l’attività non era costante, avevamo gente solo in certi periodi. E poi affittavamo solo una stanza, non ci bastava per vivere. Quindi allo stesso tempo facevo altri lavori”.

Negli stessi anni (2014-2019) il centro antico vede l’espansione dei settori legati all’economia turistica, in particolare cambia la geografia delle attività commerciali nelle strade adiacenti ai luoghi più visitati. “Quando abbiamo iniziato – continua Vera – cominciavano a nascere altre strutture di accoglienza; nel nostro palazzo ce n’erano cinque, nel vicoletto molte di più. In pochi anni se ne sono aperte tantissime in tutto il centro. Nei negozi spariva l’abbigliamento e aprivano locali che offrivano cibo, panini, pizzette, servizio bar. Un fioraio che ricordo da bambina è diventato un lounge bar; non c’era più la signora che faceva l’artigianato, è nato un altro ristorantino; la stessa cosa per quello che faceva le bomboniere…”.

Il settore extra-alberghiero ha trainato non solo lo sviluppo del sistema ricettivo ma anche gli altri comparti; molti esercizi hanno lasciato il centro verso zone in cui l’affitto costava meno o si sono ibridati, hanno cioè affiancato alla vendita dei loro articoli quella rivolta alla clientela turistica. Nel corso del tempo, l’attività di Vera e Pietro si è consolidata: “A un certo punto – racconta lei – il mio lavoro artigianale è saltato e il b&b ci ha aiutato ad andare avanti. Io e mio marito abbiamo lasciato la nostra camera e abbiamo diviso in due quella di nostro figlio, così da poter avere due camere da fittare. In pratica, abbiamo deciso che quello poteva essere il nostro lavoro. Chiedevamo quaranta euro a notte. Lavoravamo di più in alcuni periodi, non come adesso che il flusso è diventato continuo: in primavera-estate c’era movimento, un po’ a dicembre e gennaio, ma tutto l’inverno non facevamo proprio niente”. (barbara russo)

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