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Lo scorso aprile IShowSpeed, uno degli streamer più noti al mondo, ha visitato alcune città della Cina, da dove ha fatto lunghe dirette in cui ha incontrato i suoi fan locali. Nel corso del suo viaggio IShowSpeed, che ha vent’anni e più di 100 milioni di follower sui social media, ha reagito con grande entusiasmo ad alcuni prodotti disponibili in Cina, facendo anche alcuni acquisti. Tra le altre cose, ha comprato un modello di BYD, l’azienda cinese di automobili elettriche, e tre Huawei Mate XT Ultimate Design, uno smartphone che si piega in tre, diventando nella conformazione più estesa grande quanto un tablet. «È così sottile!» ha detto mostrandolo al suo pubblico in una scena che è circolata molto online, anche in Cina. «Sembra un pc da gaming.»
Per lui era una novità, ma del Mate XT Ultimate Design si discuteva da alcuni mesi, da quando Huawei lo aveva presentato in concomitanza con il nuovo iPhone 16, ottenendo circa tre milioni di prenotazioni in pochi giorni, nonostante un prezzo di quasi tremila euro. Negli ultimi mesi lo smartphone tri-pieghevole, che nel frattempo è diventato disponibile anche nell’Unione europea, è diventato il simbolo dell’inatteso ritorno di Huawei, azienda cinese che a partire dal 2019 è stata oggetto di sanzioni e restrizioni da parte degli Stati Uniti, che proibirono alle società americane di intrattenerci rapporti commerciali.
Secondo le accuse del governo statunitense, infatti, i prodotti Huawei rappresentavano un pericolo per la sicurezza nazionale, visti i legami tra l’azienda e il governo cinese. Secondo l’amministrazione Trump alcuni di questi dispositivi, in particolare le antenne per le telecomunicazioni, sarebbero stati dotati di backdoor, un accesso secondario che permetteva all’azienda – e quindi potenzialmente al governo cinese – di accedere ai dati e alle comunicazioni degli utenti.
Le accuse furono supportate da una serie di inchieste giornalistiche, tra cui una di Bloomberg secondo la quale, tra il 2009 e il 2011, Vodafone Italia scoprì alcune falle di sicurezza nei sistemi Huawei utilizzati per la sua rete. Secondo la ricostruzione, non fu possibile determinare se queste vulnerabilità fossero state inserite di proposito o meno. Sia Vodafone Italia che Huawei smentirono l’inchiesta di Bloomberg, ma accuse simili furono fatte anche da altre testate, come il quotidiano olandese Volkskrant e il sito specializzato Engadget.
Le sanzioni statunitensi misero in estrema difficoltà l’azienda, che rischiò seriamente di chiudere. Oggi però Huawei ha recuperato rilevanza e influenza nel settore tecnologico, anche grazie all’espansione in nuovi mercati, come quello delle macchine che si guidano da sole.
Nel 2024 il suo fatturato ha raggiunto i 118 miliardi di dollari, il dato più alto da quattro anni. Nel primo trimestre di quest’anno, inoltre, Huawei ha superato Apple nella vendita di smartphone in Cina, anche grazie a un crescente patriottismo tra i consumatori cinesi, che preferiscono comprare brand locali.
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Non si tratta solo di elettronica di consumo. A causa della guerra commerciale in corso, Huawei è finita al centro della strategia cinese per l’indipendenza tecnologica. Quello che era cominciato come un problema di privacy e sicurezza nazionale è diventato una contesa per il controllo di una tecnologia cruciale per il futuro, anche in ambito militare: le intelligenze artificiali.
A partire dal 2022, infatti, gli Stati Uniti vietarono le esportazioni in Cina dei chip più avanzati prodotti da Nvidia, azienda leader nel settore dell’hardware per le AI, con l’obiettivo di limitare il progresso tecnologico cinese nel settore. La decisione, secondo alcuni, ebbe effetti collaterali imprevisti e finì per favorire l’ascesa di Huawei e altre realtà cinesi, spesso aiutate dal governo centrale, che hanno sostituito Nvidia nel paese.
Il capo di Nvidia Jensen Huang, per esempio, ha definito il blocco statunitense un «fallimento», proprio perché avrebbe finito per stimolare il settore tecnologico locale a creare alternative ai prodotti occidentali, soprattutto per quanto riguarda le AI. Senza contare che ci sono molte ragioni per sospettare che i componenti vietati siano stati comunque importati in Cina attraverso mercati secondari, aggirando di fatto ogni sanzione.
Nonostante tutto, il divario tra i prodotti più avanzati di Nvidia (come i chip H100) e quelli cinesi rimane: secondo lo stesso Ren Zhengfei, CEO di Huawei, i chip cinesi sarebbero ancora «indietro di una generazione rispetto a quelli degli Stati Uniti». Gli investimenti del governo cinese (e di Huawei stessa) mirano a colmare il divario nei prossimi anni.
Le speranze dell’azienda in questo ambito si concentrano su un nuovo tipo di chip chiamato “Ascend”, da poco entrato in produzione. Stando a un recente report, Huawei starebbe lavorando con almeno undici fonderie cinesi, come vengono detti gli stabilimenti che producono i semiconduttori con cui si realizzano i microprocessori.
Un altro settore importante per il futuro dell’azienda è quello dell’automotive. Come molte aziende tecnologiche cinesi, infatti, negli ultimi anni Huawei ha cominciato a produrre automobili elettriche e a sviluppare tecnologie per la guida autonoma, in modo simile a quanto fatto da Waymo e Tesla. Huawei fornisce sistemi di questo tipo, basati sulle AI, anche a BYD, leader globale nel settore dell’elettrico, e ad altre undici aziende, tra cui Audi China.
L’espansione ha riguardato anche il software, dove è più evidente il nuovo approccio di Huawei, che è stata costretta a concentrarsi sempre di più sul mercato interno cinese. A partire dal 2019, Huawei ha sviluppato un nuovo sistema operativo, HarmonyOS, che gradualmente è stato installato in tutti i suoi dispositivi, dagli smartphone alle automobili, eliminando Android – il sistema operativo di Google, azienda americana – dalla sua offerta.
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Lo sviluppo di HarmonyOS fu reso necessario proprio dalle sanzioni statunitensi, che spinsero Google a sospendere ogni tipo di collaborazione con Huawei, che perse la licenza per usare Android e altri servizi di Google. Da allora HarmonyOS è cresciuto continuamente e da circa un anno ha superato iOS di Apple nel mercato cinese, togliendo mercato anche ad Android (che controlla ancora il 64% del mercato cinese, contro il 73% della fine del 2023). Fino a ottobre dello scorso anno però HarmonyOS permetteva l’installazione di app sviluppate per Android, mentre l’ultimo aggiornamento del sistema operativo non prevede più questa possibilità, cosa che potrebbe portare a un calo nel suo utilizzo.
In pochi anni Huawei è riuscita comunque a imporre un sistema operativo proprietario e a rompere lo storico duopolio iOS-Android. Questo però è avvenuto soltanto in Cina e molti analisti sostengono che fare lo stesso altrove, soprattutto in Occidente, sarà molto più complesso. C’è però chi pensa che la strategia di Huawei possa funzionare grazie a nuovi accordi in Asia, Sudamerica e Medio Oriente, ritagliandosi una posizione internazionale di rilievo.
La scorsa settimana Huang è tornato a ribadire il suo scetticismo nei confronti della politica statunitense e a sottolineare gli effetti che potrebbe avere per le aziende statunitensi, Nvidia tra tutte. «Se gli Stati Uniti non vogliono prendere parte al mercato cinese, Huawei ha la Cina in pugno, e Huawei ha in pugno anche tutti gli altri», ha detto a CNBC.