
Alla fine è arrivato questo dieci settembre francese. Se n’è parlato per tutta l’estate: dai grandi giornali era tutto un fiorire di “-isti”: “complottisti”, “putinisti”, “sovranisti”. Aggettivi-spauracchio, buttati lì senza attenzione, però è vero che la data era, più che nebulosa, avvolta nella nebbia, imperscrutabile.
Così ho cominciato il mio giro al mattino a place des Fêtes, sopra Belleville. I blocchi erano iniziati sulla porta della tangenziale all’alba, ben prima dell’orario al quale sono giunto in piazza. Lì c’erano diverse centinaia di persone, soprattutto tanti studenti. Una folla era assiepata in assemblea, ma c’era chiasso e mi arrivavano dei lemmi come a intermittenza: Palestina, taxer les riches, occupation, blocages…
Più in giù, a République, c’erano invece diverse migliaia di persone. La piazza era gestita dai movimenti dei lavoratori sans-papiers. Dal palco un uomo gridava: «Abbiamo fatto cadere [il governo di François] Bayrou, ora facciamo cadere Macron!». Ed effettivamente il nome del Président è su tutte le bocche e su altrettanti muri, spesso seguito dall’urlo: «Démission!».
Mentre passeggio e guardo, la nebbia si dissipa. Ancora non so mettere a fuoco precisamente i contorni del paesaggio, ma riconosco la sensazione di trovarmi in terreno conosciuto: quello che succede è nuovo nelle pratiche, ma anche famigliare e, soprattutto, la gente che vi partecipa non mi è estranea.
In disparte scorgo un gruppetto di gilets jaunes. Due di loro hanno il gilet ricoperto da delle date tracciate a mano, in linea retta, col pennarello blu; l’inchiostro è ormai appassito dalle intemperie. Lei si chiama Michèle, lui Jean-Claude e sono entrambi gilet gialli della prima ora, ormai dei veterani. Lavorano entrambi nell’industria farmaceutica nella grande banlieue parigina. Si dicono “tecnici”, ma hanno l’aspetto umile. Lei ha i capelli bianchi arruffati, dice di aspettare con ansia la pensione; lui, alto e magro, ha un filo di barba e qualche problema ai denti.
Michèle dice che è contenta «che la gente sia fuori, per strada», ma giudica l’appello – “bloccare tutto” – un po’ «confuso». Comunque, dice, «è un buon inizio». Jean-Claude fa tutto un discorso che risale a quel fatidico 2018. Quando sono scesi in piazza, dice, «era per ottenere il referendum d’iniziativa cittadina» (in Francia il referendum all’italiana non esiste), ovvero, «per riprendere il controllo sulle istituzioni». Hanno fallito, riconosce, e quindi eccoci qua con un presidente che fa quel che vuole con le istituzioni, un presidente che «nomina primi ministri senza tener conto del voto». E il risultato è che si producono movimenti come quello odierno.
Scendo nella metro mentre qualcuno offre dei panini («Prenez des forces! Vous en aurez besoin!»), mi ritrovo intruppato in un gruppo e di giovani. Una ragazza: «Ce ne siamo presi di lacrimogeni. A Gare du Nord, sì». Poco prima, qualche centinaio di persone avevano tentato di bloccare la stazione ed erano stati caricati dalla polizia. Sui video mi aveva colpito il fatto che, per la prima volta da anni, i ragazzi facessero cordone e non retrocedessero alla prima carica. C’era come un’abitudine, una disinvoltura allo scontro.
Esco dal sottosuolo a Hotel de Ville. Voglio andare a Châtelet, ma anche fare due passi, vedere. Non appena metto i piedi sulla strada, sono avvolto da centinaia di bolle di sapone: sorpreso, scorgo un saltimbanco che, con due grandi corde e un pezzo di tela, intrattiene dei turisti riempiendo il parvis del comune con queste grandi bolle insaponate.
Più in là la piazza di Châtelet è gremita. Qui la piazza è quella sindacale, convocata dalle federazioni della Cgt che, disobbedendo all’imbarazzo della direzione centrale, si sono buttate nel sostegno a questa protesta spontanea. Chiacchiero con una compagna che torna dai blocchi mattutini, stravolta dalla stanchezza. Dice che è andata bene, che erano ovunque, anche se la composizione è quella solita: tanti gauchistes…
Un’infermiera in sciopero mi racconta di un’assemblea con cinquecento persone davanti al suo ospedale, gremita di colleghi e di abitanti del quartiere; e di come dopo siano andati in gruppo al deposito Ratp lì vicino dove c’era un picchetto. Un compagno mi racconta dei picchetti agli inceneritori. Un’altra dell’assemblea dei ferrovieri a Gare de Lyon, poi giunta in corteo a Châtelet, e dell’aggressività della polizia che aveva paura bloccassero i binari.
Faccio un giro. Una ragazza bardata con uno scialle dice che ora vanno a bloccare rue de Rivoli, ma è tutto calmo. Poi la massa si muove verso République, come una gigantesca manif sauvage: rivoli di folla emergono sul boulevard Sébastopol, non credo di aver mai visto una manif sauvage così grossa. Spuntano le prime barricate, cassonetti rovesciati e dati alle fiamme, due materassi coperti da spazzatura bloccano il traffico, un giovane dà loro fuoco e partono i primi lacrimogeni. Le persone a malapena ci fanno caso: l’unico gesto di risposta avviene all’unisono, ed è quello della mano che rapida e sicura mette la mascherina a coprire la bocca e il naso. La gente si perde nelle viuzze, verso Opéra.
La sera vado a Place des Fêtes, piove. Ci sono migliaia di persone. Un’assemblea gigante, memore di Nuit Debout, ma meno organizzata, il suono degli interventi si perde tra il battere della pioggia sugli ombrelli. Qualcuno fa una barricata e le dà fuoco, le batterie al litio delle bici in sharing scoppiettano e mandano scintille bianche, sotto lo sguardo scazzato dei pompieri.
Dopo un po’ la polizia sgombera, e ora riconosco il paesaggio: è quello del movimento nel 2023 contro la riforma delle pensioni di Macron. Che si svegliava all’alba per partecipare ai picchetti davanti ai depositi dei trasporti, agli inceneritori, alle stazioni e agli ospedali. Ma questa volta si è attivato senza chiedere il permesso delle “centrali” sindacali, e quindi non solo detta l’agenda, ma pesca liberamente dalle pratiche dell’ultimo decennio: ecco allora i blocchi e le azioni da gilet jaunes e le assemblee alla Nuit debout, i picchetti… Un decennio di lotte condensato in una strana festa, assembleare, incerta. Promette molto e bene. Chissà. In ogni caso, Macron démission. (filippo ortona)