L’infrastruttura della rete mobile in Italia è come un’autostrada a cui si stanno aggiungendo corsie, senza aumentare i caselli
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A fine aprile l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ha approvato un nuovo regolamento per la tutela degli utenti, che tra le altre cose introduce l’obbligo per gli operatori mobili di mostrare dei bollini colorati sulle loro promozioni per il 5G: verde se non hanno limitazioni di velocità, giallo o rosso se invece comprendono limiti nella connessione. L’iniziativa è pensata per avere maggiore trasparenza quando si sottoscrive un piano tariffario, ma non è detto che risolva un problema che sperimentano in molti: lo smartphone che indica di essere sul 5G, anche se in realtà non sta navigando in 5G e di conseguenza la connessione è lenta.
L’indicazione della rete mobile sullo schermo con la scritta 5G non garantisce infatti che si stia effettivamente navigando su una vera e propria rete di quel tipo. In alcuni casi la dicitura indica una disponibilità teorica, dovuta al fatto che lo smartphone ha rilevato una cella in cui è disponibile il segnale 5G, ma questo non implica che necessariamente il segnale stia passando su quella rete (una cella corrisponde all’area che riesce a coprire un’antenna della rete mobile).
L’antenna (o le antenne) cui è collegato lo smartphone trasmettono un segnale contenente diverse informazioni sulle tecnologie che utilizzano per inviare e ricevere i dati. Se il telefono è compatibile con il 5G, e questo è elencato nei sistemi disponibili, allora il suo sistema operativo (Android o iOS per gli iPhone) decide se mostrare o meno la scritta del 5G. Alcuni smartphone la mostrano non appena captano la presenza di una rete 5G, anche se nei fatti la connessione che stanno utilizzando è ancora di tipo 4G, mentre altri sono più selettivi e indicano il 5G solo quando è effettivamente attiva una rete di questo tipo.
Il risultato è che spesso si naviga con una minore velocità rispetto a quella attesa, e magari si finisce col pensare che non ci sia poi una grande differenza tra 5G e 4G, mentre in realtà il primo è enormemente più veloce e reattivo. Le cause di questa percezione non sono comunque legate solamente a cosa decide di fare il sistema operativo.
Attualmente la copertura del vero 5G riguarda meno del 10 per cento del territorio italiano. Questo non significa necessariamente che le altre connessioni non siano 5G, come viene indicato, ma che non sfruttano pienamente la capacità delle reti di nuova generazione perché per funzionare devono ancora fare affidamento sulla rete 4G.
La maggior parte delle connessioni avviene infatti con connessione 5G NSA (5G Non-Standalone), cioè con un sistema in cui le antenne utilizzano già una parte importante degli standard 5G, ma il controllo e la gestione della rete avvengono ancora con tecnologie 4G. In pratica la trasmissione dei dati avviene con il 5G, ma tutto ciò che serve per autorizzarne il passaggio e riconoscere i cellulari stessi collegati alla rete viene effettuato con la rete 4G (o per meglio dire con il “core network” del 4G). È un po’ come avere un’autostrada dove sono state aggiunte molte corsie, senza cambiare la quantità di caselli per il pedaggio, con la conseguente formazione di rallentamenti e colli di bottiglia.
Molte reti utilizzano inoltre il Dynamic Spectrum Sharing (DSS), un sistema che permette agli operatori di utilizzare la stessa porzione di frequenze radio sia per le connessioni 4G sia per quelle 5G. Le frequenze sono una risorsa limitata e sono assegnate attraverso aste pubbliche, che possono essere molto costose: con il DSS si può evitare di avere delle frequenze dedicate per una sola tecnologia di trasmissione e sfruttare quelle che si hanno già in concessione. L’antenna trasmette un flusso di dati misto e i suoi sistemi stabiliscono in tempo reale se usare 4G o 5G in base ai dispositivi collegati. Le prestazioni per il 5G sono però limitate perché c’è minore banda e sono spesso comparabili al 4G: il telefono vede che è disponibile il 5G e quindi lo segnala con la scritta sullo schermo, insieme all’indicazione del campo disponibile (le barre).
La scelta di questa forma ibrida si è resa necessaria per portare più velocemente alcune delle funzionalità del 5G, in attesa di svilupparne altre che non sono possibili con le reti delle generazioni precedenti. Aggiornare il core network da 4G a 5G richiede grandi risorse e il trasferimento di molte tecnologie, cosa che non sarebbe stata praticabile in tempi brevi. Con il 5G NSA gli operatori, non solo in Italia, si sono presi più tempo in attesa dell’aggiornamento delle infrastrutture, che però è fortemente in ritardo rispetto a cosa era stato prospettato un tempo.
I ritardi si sono accumulati a causa della pandemia da coronavirus, che per anni ha ridotto gli spostamenti e la centralità delle connessioni mobili, ma anche a causa dell’aumento del costo dei microchip, dell’inflazione e di un utilizzo delle reti per il quale alcune delle funzionalità del 5G (come i bassissimi tempi di risposta) sono ancora marginali. Tutto questo ha influito sull’ammodernamento di parte della rete mobile in Italia, dove si stima che ancora un terzo delle stazioni radio non sia collegato alla rete tramite fibra ottica (“backhaul ottico”), cioè il sistema più rapido per trasmettere i dati. C’è quindi la possibilità che una stazione abbia un’antenna 5G, ma non abbia alle spalle una connessione via cavo adeguata per farla funzionare al suo massimo.
Il risultato è che, fatta eccezione per alcuni progetti nelle aree urbane, il 5G Standalone (5G SA), cioè quello vero e proprio, è raramente disponibile in Italia e probabilmente la situazione non cambierà molto ancora per qualche tempo. Oltre ai collegamenti in fibra ottica, sono necessari importanti investimenti per aggiornare l’infrastruttura delle reti mobili e gestire il passaggio da un sistema all’altro. Entro la fine del 2026 è previsto il raggiungimento di una copertura del 90 per cento circa del territorio italiano con il 5G NSA, mentre per quello SA i piani sono da definire.