
Georges Ibrahim Abdallah è un attivista libanese nato in una famiglia maronita. Nel 1979 ha fondato un movimento rivoluzionario marxista-leninista in supporto alla lotta palestinese. Arrestato in Francia nel 1984, è stato condannato all’ergastolo nel 1987 con l’accusa di complicità con gli omicidi di un addetto militare statunitense e di un diplomatico israeliano. Il 15 novembre 2024 un tribunale francese ha accettato la domanda di liberazione di Abdallah, ma la Procura nazionale anti-terrorismo ha presentato ricorso.
Anan Yaeesh è invece un palestinese, militante della seconda Intifada e in seguito vittima di un agguato delle forze speciali israeliane. Ha lasciato il suo paese nel 2013 e dal 2019 è rifugiato politico in Italia. Nel gennaio del 2025 è stato arrestato in Italia e Israele ne ha chiesto l’estradizione. Il processo a suo carico è in corso e la giustizia italiana deve scegliere due opzioni: rispettare il diritto internazionale che garantisce la tutela dei rifugiati politici, oppure riconoscere le accuse fondate su indagini e interrogatori condotti da uno stato straniero.
Circa un mese fa abbiamo intervistato alla Mensa Occupata di Napoli, a margine di una iniziativa sul tema della prigionia politica dei palestinesi, gli attivisti del comitato Free Anan e della sezione Paris Banlieue di Samidoun, organizzazione parte di un network internazionale a supporto dei prigionieri palestinesi nel mondo, che si batte tra le altre cose per la liberazione di Georges Ibrahim Abdallah.
Proponiamo qui alcuni estratti della nostra conversazione.
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Comitato Free Anan: Se si vuole parlare di causa palestinese in Italia, oggi, la questione di Anan è la causa palestinese in Italia, oggi. Stiamo parlando di un palestinese che viene accusato di aver progettato un’operazione di Resistenza a una colonia e per questo lo stato italiano lo vuole processare. Parliamo di una persona che viene accusata di aver resistito e che oramai da oltre un anno si trova all’interno del carcere di Terni per questo.
In tutta una prima fase abbiamo cercato di tenere il dibattito sul caso prettamente legale, per provare a evitare che la cosa assumesse una connotazione esclusivamente politica, nonostante in realtà sia totalmente politica, ma era una strategia processuale difensiva. Oramai questa cosa non c’è più: Anan sta parlando e bisogna leggere bene le cose che dice, le sue dichiarazioni, perché non c’è solamente un attacco all’entità sionista, c’è un attacco anche allo stato italiano, al sistema di repressione che viene applicato dallo stato italiano, ai regimi di detenzione differenziati, alle torture di alcuni regimi come il 41-bis.
Anan parla di “Corte di amici” quando questa corte si relaziona con Israele. Lo stato italiano si sta comportando come se fosse parte di un conflitto in corso, come se ci fossero due alleati, Italia e Israele, nel corso di un conflitto.
I materiali che sta usando la corte dell’Aquila sono in larghissima parte forniti dai servizi segreti israeliani. Sono frutto di interrogatori che sono stati estorti a diciassette palestinesi, arrestati o rapiti, due termini che possiamo utilizzare indifferentemente in queste circostanze. Stiamo parlando di prigionieri che sono stati deportati all’interno del territorio palestinese occupato, quello che chiamiamo stato di Israele, e sono stati interrogati con le modalità che le organizzazioni internazionali denunciano da decenni: violenze, torture, intimidazioni, abusi, anche sessuali. La cosa grave è che la Corte dell’Aquila ha ritenuto di poter assumere questo materiale come elemento probante all’interno di un processo: in questo modo l’Italia, sulla base di interrogatori estorti da una entità occupante a danno di uomini e donne sotto occupazione militare, ha costruito un capo di imputazione e un processo a carico di un comandante partigiano.
Samidoun Paris Banlieue: In tutti questi anni di detenzione, Georges ha sempre chiesto, attraverso il suo avvocato, la liberazione. L’ultima sua richiesta è stata valutata l’ottobre scorso, il 7, quindi anche in questo caso l’aspetto politico del suo processo continua a essere chiaro, nel fatto che abbiano scelto questa data. A febbraio il tribunale di Parigi si è dichiarato favorevole per l’ennesima volta alla sua liberazione condizionata e all’estradizione in Libano, e questa volta non ci sarà bisogno del del beneplacito del ministero degli Interni, una condizione che era stata messa in passato e che aveva fatto sì che l’estradizione venisse negata.
Questa volta la sua liberazione è stata condizionata al pagamento di un’indennità ai familiari delle due vittime, che è una cosa che Georges Abdallah non considera come giusta, data la natura politica del suo atto, che è un atto per la liberazione del popolo palestinese e del popolo libanese. A fine giugno arriverà la sentenza. Noi di Samidoun continueremo la campagna, che va ormai avanti in maniera strutturata da più di vent’anni anni, per cercare di arrivare alla fine, e speriamo di poter vedere Georges salire su un aereo e tornare a casa sua nella valle del Beqa’, in Libano.
CFA: Sulla figura di Anan facciamo continuamente iniziative di approfondimento, ma ci sforziamo sempre di metterle nel contesto della carcerazione, perché la questione dei prigionieri palestinesi è una questione fondamentale. Subito dopo il 7 ottobre ciò che è stato detto è che tutto era stato fatto per la liberazione dei prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane; questo è sempre avvenuto negli anni, a partire dagli Ottanta, quando si dirottavano gli aerei: non veniva richiesta con quelle azioni la liberazione dalla Palestina dal fiume al mare, veniva richiesta la liberazione dei prigionieri dalle carceri israeliane e di altri paesi.
In Italia c’è grande supporto nella rete di compagni che si occupano di carcere e detenzioni, ma soprattutto nel periodo in cui c’era il rischio di estradizione di Anan abbiamo anche avuto il sostegno, per esempio, da parte di una parlamentare dei 5 Stelle, Ascari, che si è spesa per la questione. Sappiamo bene che il supporto che ci può arrivare da quest’area, anche quella dell’associazionismo, della società civile, è un supporto finalizzato a far uscire la questione dal nostro gruppo di compagni, a raggiungere un livello mediatico più ampio. Abbiamo dei contatti anche con europarlamentari che hanno espresso l’interesse a voler visitare Anan in carcere, ci auguriamo che questo possa essere un apripista per una riflessione più politica.
SPB: La campagna per Georges è cominciata relativamente di recente. Una cosa che ne ha aiutato lo sviluppo è stata proprio la lunghezza della sua condanna. Parliamo di un militante politico arrestato negli anni Ottanta, in Francia, con delle accuse assurde che lo collegavano all’uccisione di due diplomatici, uno statunitense e uno sionista, due uomini che si occupavano peralto di affari militari, erano attaché militari per le loro rispettive ambasciate.
Da subito era chiaro che si trattava di un processo politico, e la conferma è arrivata anche decenni dopo, quando nel 1999, a seguito di pressioni dagli Stati Uniti, il governo francese ha deciso di non liberare Georges. All’inizio degli anni Duemila è cominciata la campagna, che in una prima fase è stata portata avanti da organizzazioni come il Soccorso Rosso internazionale e altri compagni come quelli del collettivo Palestine Vaincra, che tra l’altro è stato sciolto recentemente dal governo francese dopo una battaglia legale durata un paio d’anni. Parliamo di compagni che si trovano per lo più a Tolosa, e che sono geograficamente più vicini alla prigione di Lannemezan.
Col tempo la campagna è cresciuta, ha coinvolto molte organizzazioni. Ha un livello chiaramente politico, dovuto al fatto che Georges è un militante comunista, che non ha mai rinunciato alle sue convinzioni, e che anzi anche dal carcere ha sempre parlato e studiato, è intervenuto nel dibattito sui processi di lotta in Francia, per esempio sul tema dei Gilet gialli, e che ovviamente si esprime su tutto quanto succede in Palestina e Libano. E poi c’è un elemento che riunisce le forze progressiste, che è quello di lotta contro il carcere, contro la persecuzione politica.
Nel 2014 anche Ahmad Sa’dat, segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, si è espresso pubblicamente per la liberazione di Georges, ha scritto di lui come di un combattente della causa palestinese, parte del movimento dei prigionieri, la cui liberazione è un elemento fondamentale per la vita politica della Palestina.
Samidoun Banlieue è un gruppo decisamente giovane, ha la capacità di attrarre soprattutto la gioventù araba di Parigi e delle banlieue circostanti. Abbiamo compagni di varie estrazioni politiche che hanno la priorità di portare la voce dei prigionieri palestinesi di tutte le fazioni; parliamo di compagni che sono in quartieri popolari come Belleville, Ménilmontant, Massy, quindi la periferia sud di Parigi, proprio per questo abbiamo scelto questo nome, perché la composizione è quella e perché il nostro sguardo non è solo sulla città di Parigi, ma su tutto quello che c’è che c’è attorno. (redazione napolimonitor)