
Una mattina di qualche mese fa ci siamo seduti a chiacchierare con Arturo Di Gennaro, ex operaio napoletano dell’Italsider all’esterno del circolo di piazza Bagnoli che gestisce. Gli abbiamo chiesto di raccontarci della sua vita, del posto in cui è nato, ha lavorato e ha messo su famiglia. Pubblichiamo a seguire la sua storia.
Io a Bagnoli ci sono nato, a via Di Niso, il palazzo era di mio nonno che faceva il farmacista alla Pignasecca, una farmacia molto nota a Napoli. Il palazzo lo costruì nel 1926, c’è ancora la scritta per terra. All’epoca nonno litigava con papà perché lui aveva fatto dieci figli, più di tutti gli altri fratelli messi insieme, e non era facile portare avanti la famiglia. Mio padre dava diecimila lire di affitto a mia nonna per l’appartamento che stava dentro a questa palazzina, poi mio nonno di nascosto se li prendeva e glieli dava un’altra volta indietro a mio padre. Dopo la scuola, alla Vito Fornari, ho fatto l’avviamento, nel 1953, ma subito ho mollato per andare a lavorare.
Qua dove ora c’è piazza Bagnoli era molto più stretto, c’era il muro di cinta e dentro c’era la fabbrica. Io lavoravo nel bar Di Lauro, di fronte l’ingresso della fabbrica. Prendevo mille lire a settimana. Poi sono entrato con la Cesud, avevo diciassette anni, era una ditta che lavorava dentro l’Ilva, si occupava degli impianti elettrici. Io ero aiuto elettricista, giravo col motorino, andavo dove lavoravano gli elettricisti e gli portavo il materiale che serviva. Poi sono andato a fare il soldato e dopo il militare sono entrato definitivo in fabbrica, perché nel frattempo c’era stato il passaggio delle ditte all’Italsider, hanno internalizzato. All’Italsider sono stato fino al 1990. Stavo sui carroponti, scaricavamo le navi di carbone dal pontile. Era un lavoro facile, tu stavi sempre sul carroponte, non era un lavoro fisico come altri nella fabbrica. La nave di solito restava in sosta per tre-quattro giorni. Arrivavano per lo più dall’Italia, da Piombino soprattutto. C’erano momenti in cui non si lavorava molto e altri di più, perché la nave doveva rimanere un tempo massimo stabilito, sennò pagavano la penale. E allora in certi momenti il capoturno diceva che bisognava accelerare.
I festivi prendevi di più, le navi arrivavano tutti i giorni, io lavoravo pure a Natale. Per scaricare una nave ci volevano giorni, le navi aspettavano a largo che una finiva e cominciava un’altra. Noi eravamo un gruppo di cinquanta operai circa e dieci capoturno, col caporeparto che comandava tutto. La gente a volte dice “eh ma nel cantiere, tanti anni col posto fisso, non si faceva niente”, sono tutte cretinate. Il posto fisso era buono perché potevi lavorare prendendotela comoda. Noi tenevamo il televisore, vedevamo le puntate. Ma quando poi si dovevano buttare le mani ti facevi un cuore così! E questo per quanto riguarda noi. Ma chi stava nell’acciaieria, la cokeria, quando usciva il fuoco, tu dovevi stare là. Non ti potevi allontanare, non ti potevi manco distrarre.
Per non parlare poi degli incidenti. E della gente che è morta con le malattie. Là dentro era tutto amianto. Mi ricordo che c’era l’altalena che passava sopra la colata, sopra la lava, c’era questo ponticino piccolino di un metro, un metro e mezzo fatto di loppa. Una volta sentimmo urlare mentre uno passava, la loppa non si era indurita, era venuta meno e si era squagliata mezza gamba di questo là dentro. Se non lo tiravamo fuori se lo risucchiava sano sano. Io sono stato pure come trasfertista a Taranto, a Piombino, là sì che non si faceva niente! E poi era tutto più nuovo, perché l’avevano costruita dopo.
Quando la fabbrica ha chiuso ci hanno mandato all’aeroporto a fare dei corsi, e poi ci volevano far assumere con una ditta che faceva le pulizie ma io ho rifiutato. Loro facevano apposta a proporti dei lavori che non erano all’altezza di quello che uno faceva prima. Provarono pure a mandarci all’Alfa Sud a Pomigliano d’Arco, io dovevo prendere il pullman alle cinque di mattina e tornare alle cinque di sera, erano dodici ore, un inferno.
Quando si firmava la buonuscita, con alcuni compagni miei andammo al Centro Direzionale, tutti vestiti bene, ci facemmo la barba, i capelli, e firmammo il licenziamento per settanta milioni. Pochi giorni dopo la firma, mio cugino mi avvisò che l’Italsider stava mettendo una cifra di buonauscita uguale per tutti, di cento milioni. Disse: «Vai là e ferma tutto, muoviti!». Allora io andai, feci tutta una recita dicendo che avevo litigato con mia moglie che voleva che continuavo a lavorare, che tenevo due figli e non mi volevo licenziare più. Dissi che ci avevo ripensato, eccetera eccetera. Alla fine l’impiegata che si occupava di questa cosa si convinse e mi cancellò dalla lista dei settanta milioni. Passano tre giorni, diventa ufficiale la cosa dei cento milioni e io subito mi precipito per licenziarmi e prendermeli. E chi trovo all’ufficio? La stessa signora: «Ah, e che ha fatto vostra moglie, già ha cambiato idea?». Intanto poi con quei soldi mi sono aperto la sala giochi.
Anche durante gli anni della fabbrica, Bagnoli era stato un posto vivo, turistico. C’era il bagno Fortuna, c’era l’albergo Tricarico, dove adesso ci sta la scuola, che teneva le terme, stava l’entrata dove ora c’è il commissariato. C’era il lido Sirena, che era il bagno delle guardie, dei poliziotti. Poi c’era l’ospedale e poi il lido Nettuno. Per entrare si pagava, ma c’era una spiaggia libera grande dove adesso c’è l’Arenile, lo chiamavamo ‘o Mappatella, la gente del quartiere andava là. Il Tricarico ha lavorato molto fino all’inizio degli anni Ottanta, fino agli anni Settanta c’era molta attività turistica, c’erano i ristoranti, poi cominciò a lavorare di meno, e nell’83 ci misero i terremotati del bradisismo. In giro vedevi sempre tanta gente: c’erano i marinai, i trasfertisti, i turisti dell’albergo, la sera si usciva, c’era il circolo, si giocava a carte. Lavoravano i ristoranti, le pizzerie, si faceva la passeggiata a mare, c’era un certo benessere.
All’epoca c’era la quindicina, lo stipendio si pagava ogni quindici giorni, il giorno 9 e il giorno 22 del mese. E quando l’operaio prendeva la quindicina… e come spendeva! La mattina compravano le graffe, mezza per una, e poi pagavano quanto prendevano la quindicina, si faceva il conticino tanto tu sapevi che ti pagavano perché lo stipendio era fisso. Molta gente alla mattina arrivava da fuori Bagnoli coi pullman, non abitavano tutti in zona. C’erano diversi ingressi, quattro o cinque: uno per l’acciaieria, uno dove stava la banca, eccetera. Il bar lavorava molto: ci stava il tram, la cumana, scendeva un mare di gente. C’erano tre turni: dalle sette alle tre, poi dalle tre alle undici di sera, e dalle undici alle sette di mattina.
Quando la fabbrica ha chiuso secondo me gli operai non sono andati male, in molti sono andati in pensione giovani e hanno potuto fare dei lavoretti fuori mano per arrotondare. Che poi già prima così si faceva: chi faceva l’elettricista, chi aggiustava le cose. Il problema è stato per chi è venuto dopo. Io sono riuscito a sistemarmi perché ho fatto l’investimento. Nel 2015 il circoletto è diventato pure un’agenzia di scommesse, ma prima lavoravamo come sala giochi, il bigliardo, il ping pong, le carte.
Oggi ho due figli, uno che vive a Udine che ha una tabaccheria, tiene quarantacinque anni ed è già nonno. Ho molti nipoti, uno si chiama Arturo come me, c’ha diciassette anni, sta nell’accademia aeronautica, sta studiando per diventare ingegnere spaziale. Ti dico solo che nella stanza sua c’ha un televisore gigante, un tavolo, due-tre computer, studia i motori di formula uno.
Io amo stare qua, passeggiare, sono nato e cresciuto a Bagnoli. Però se tutta la mia famiglia fosse d’accordo me ne andrei da mio figlio al Nord, per stare vicino ai nipoti miei. Mio figlio mo’ che c’è stato il bradisismo mi ha detto: «Ma a chi stai aspettando?». Però vedi, in questa piazza io sono il più vecchio, conosco tutti quanti, ci sto bene. La mattina accompagno mio nipote alla Madonna Assunta, mo’ finisce le medie e l’anno prossimo va al Nautico. Poi lo accompagno pure a giocare a pallone, sto sempre appresso a lui, e certo vorrei fare queste cose pure con quelli che stanno sopra. (intervista a cura di gabriella boscarino e riccardo rosa, pubblicata anche su bagnolinformazione.it)