
Un’amica mi ha raccontato che nel piccolo paese da cui proviene è ancora molto in voga, pure tra i giovani, “Padrone e sotto”, antico gioco praticato in molte regioni meridionali. Funziona più o meno così: la prima parte è una partita a scopa a squadre, o una tirata a tocco; chi ha il punto di primiera più alto, o chi ha vinto il tocco, viene nominato “padrone”, mentre chi ha il secondo è il “sotto”; il sotto e il padrone decidono di volta in volta il giocatore che potrà bere dalla brocca o dalle bottiglie comuni, cercando di lasciare fuori qualcuno di non gradito. A volte, però, facendo finta di volergli offrire da bere a oltranza, i due cercano di mettere in mezzo uno dei partecipanti, concentrando su di lui le bevute per farlo ubriacare e denigrarlo. Non è detto che le alleanze portino al risultato prefissato, e in quel caso tanto vino sarà andato sprecato.
Durante la prima presentazione di un libro che ho scritto molto tempo fa (La sfida. Storia del re della sceneggiata), alla Sala Assoli del Teatro Nuovo di Napoli, il maestro Pino Mauro, accompagnato da Franco Ricciardi, Carmine Paternoster e Marco Giusti, si mise a recitare Questione ‘e tuocco, di E.A. Mario, che parla di una vendetta all’arma bianca consumata durante una giocata a Padrone e sotto.
Proprio accussì, tre anne carcerato
pe ‘na quistione ‘e tuocco e mo’ so’ asciuto,
maje s’è appurato ‘o fatto comm’è juto
e ‘a chesta vocca maje se po’ appura’.
Però nun fuje p’o vino, fuje pe’ ‘na parola
ascette ‘mmiezo ‘o nomme ‘e ‘na figliola
ca nun s’aveva proprio annumena’…
– Meh, jammo’: a chi adda essere?
Adda essere a vuje, ‘gnorsì cumpa’!
[…] Sbagliaje, curtellaje ‘nnucentemente
a chi nun era ‘nfame comme a te,
embè stasera ‘o vendico:
chesta è pe’ isso, e chesta ‘cca è pe’ me!
(pino mauro, questione ‘e tuocco)
Si è ormai diffusa in diverse città d’Italia la pratica del Graduation day, durante il quale i neolaureati si ritrovano in una sede universitaria o in una piazza della città per celebrare il raggiungimento dell’obiettivo lanciando in aria il tocco, cappello che simboleggia la fine e il successo di un percorso di studio. A Novara in piazza dei Martiri erano, lo scorso weekend, in più di mille; a Macerata, in piazza Vittorio Veneto, diverse centinaia, provenienti da più di trenta paesi. Gli studenti sono stati salutati dal rettore McCourt, primo straniero a capo di un ateneo italiano, che ha esaltato la capacità dell’università nel formare i giovani “a capire, pensare, affrontare le complessità del presente”. Da più di un anno il rettore (membro del cda di UniItalia, ente che si occupa della cooperazione accademica internazionale) viene duramente contestato per gli accordi dell’università con atenei israeliani, accordi che non ha finora voluto rescindere, a differenza di quanto fatto con le università russe dopo l’invasione dell’Ucraina.

Dieci anni fa ricevetti in regalo per il mio compleanno un libro che riprende i migliori discorsi tenuti da Kurt Vonnegut ai laureandi, al termine dell’anno accademico.
Il rettore voleva eliminare ogni forma di pensiero negativo dal suo discorso di saluto, e quindi mi ha chiesto di farvi quest’annuncio: “Tutti quelli che hanno ancora in sospeso il pagamento del parcheggio sono pregati saldare il conto prima di uscire da questo edificio, altrimenti si ritroveranno una sorpresina sul libretto”.
Quando ero ragazzino a Indianapolis c’era uno scrittore umoristico di nome Kin Hubbard. Ogni giorno scriveva una freddura di qualche riga per l’Indianapolis News. […] Spesso era arguto quanto Oscar Wilde. Disse, per esempio, che era meglio avere il proibizionismo che stare senza alcool. O che chiunque sostenga che il sapore della birra analcolica si avvicina a quello della birra è incapace di misurare le distanze. Do per scontato che le cose veramente importanti vi siano già state insegnate nel corso dei quattro anni qui e non abbiate gran bisogno di sentire granché dal sottoscritto. Buon per me. Ho solo una cosa da dire: questa è la fine, questa è sicuramente la fine dell’infanzia. “Ci dispiace tanto”, come dicevano durante la guerra del Vietnam. (kurt vonnegut, fredonia college, new york, 20 maggio 1978)
Ancora, a proposito di tocco e di università: gira su Youtube un video in cui padre Mike Schmitz, cappellano all’Università del Minnesota Duluth (una via di mezzo tra l’Hugh Grant di Nottingh Hill e lo Sturby di Marco Marzocca), spiega il rapporto tra sorte e Spirito Santo quando c’è da prendere qualche decisione importante. Nello specifico si parla di Conclave ed elezione del Papa:
Una mia amica una volta mi ha detto: “Pensavo che tutto il processo fosse molto più… santo. Una cosa quasi mistica. Tipo, entri nella Cappella Sistina, ti metti in preghiera e chiedi allo Spirito Santo di guidare le decisioni”. Invece ha scoperto che i cardinali parlano, discutono, dibattono. Possono persino cercare consensi, cercare voti. E questo le sembrava… meno spirituale, diciamo così. Eppure, se torniamo alla Bibbia, vediamo che lo Spirito Santo agisce attraverso persone comuni, attraverso mezzi, eventi e circostanze che non ci aspetteremmo. Per esempio, negli Atti degli Apostoli, Giuda è morto, e gli apostoli si riuniscono per decidere chi prenderà il suo posto. Come scelgono tra Giuseppe il Giusto e Mattia? Tirano a sorte! È come se lanciassero i dadi per decidere chi sarà il prossimo apostolo. Non sembra molto santo, ma è proprio quello che fecero. E questi sono uomini che camminarono con Gesù, che furono istruiti e formati da lui. Eppure, dicono: “Non lo sappiamo. Tiriamo a sorte”. (fr. mike schmitz, da uccr online, davvero lo spirito santo elegge il nuovo papa?)
(credits in nota1)
(a cura di riccardo rosa)
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¹ Totò e Peppino De Filippo in: La banda degli onesti, di Camillo Mastrocinque (1956)