Un ciclo di repressione e rinascite. Nuove visioni dal Balon dei poveri a Torino

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Un ciclo di repressione e rinascite. Nuove visioni dal Balon dei poveri a Torino
(disegno di otarebill)

Ayoub è seduto sulla bordura di porfido che delimita un angolo di verde, con i gomiti sulle ginocchia. Claudia, accanto, ha un’espressione sconsolata che non le è propria. Ha sfogato poco prima la sua indignazione, rovesciando con rabbia, in mezzo alla strada, le merci che porta con il suo carrello trainato da una bicicletta: i suoi dipinti colorati, qualche zaino, un paio di giacche pesanti. Mentre si accendeva una sigaretta, nervosamente, l’abbiamo aiutata a raccogliere le sue cose e spostarsi a margine della carreggiata. «Tu sei senza documenti?», chiede ora Claudia ad Ayoub, ottenendo un cenno affermativo in risposta. «Ma da quanto è che sei qua? Solo due anni! Io da venti, venti anni!». «Vent’anni?», esclama lui sorridendo con disapprovazione: «Ah no, io me ne vado prima!».

È meta mattina, insieme a pochi amici ho raggiunto i venditori informali che il sabato si raccolgono vicino alla Dora in occasione del Balon, e nonostante la repressione. Ci sono volanti della polizia municipale in diversi angoli del quartiere – agli ingressi del ponte, in cima alla salita verso corso Giulio Cesare, accanto al marciapiede – e una ventina di agenti presidiano o pattugliano la zona. Come accade ogni sabato ormai da alcuni mesi, impediscono agli straccivendoli senza licenza di piazzare la loro merce.

Fino a qualche tempo fa un centinaio di ambulanti poveri esponeva su stuoie e lenzuola scarpe vecchie e vestiti usati, oggetti trovati in giro, minutaglia raccolta dai bidoni, recuperata da cantine e magazzini da sgomberare. La presenza si estendeva libera e compatta dal ponte Carpanini sul lato sud della Dora, sino in cima alla salita che si ricongiunge con corso Giulio Cesare e il ponte Mosca.

STORIA DI UNA REPRESSIONE CICLICA
Da più di centocinquant’anni il Balon ospita venditori di oggetti usati, anche molto poveri. Dal 2002 si creò una distinzione, un mercato di serie A e uno di serie B, e fu deciso di spostare gli straccivendoli dal lungofiume all’area vicina, ma più nascosta, di San Pietro in Vincoli e canale Molassi. Poi, nel 2019, il Movimento Cinque Stelle al governo della città impose con una delibera comunale lo spostamento degli impresentabili più lontano, in via Carcano, accanto al cimitero monumentale.

Per diversi mesi i venditori si opposero all’esilio, che avvenne solo a seguito di uno sgombero violento della polizia e multe considerevoli. Già allora a Borgo Dora la povertà rimossa riemergeva inesorabile, nonostante la delibera della giunta e l’azione dispendiosa delle forze dell’ordine, mentre al mercato di via Carcano si rendevano evidenti le conseguenze dell’esclusione. Per anni i segni di quella violenza rimasero nel deserto urbano. Poi, due anni fa, furono le gradinate del ponte Carpanini a prendere vita e accogliere nuovi mercanti informali fino a che i contingenti di polizia municipale giunsero in forze per sequestrare gli oggetti e vietare la vendita.

Ancora, più di un anno fa, è nato un nuovo mercato informale lungo la Dora. Lo scorso autunno la polizia arrivava all’alba per presidiare la zona: solo per poche ore però, così i venditori tornavano a disporre a metà mattinata. Ma all’alba dello scorso 26 luglio, e nei sabati a seguire, le forze dell’ordine sono giunte per rimanere fino al pomeriggio, rendendo impossibile agli straccivendoli di lavorare. Li vediamo attendere a lungo con gli oggetti raccolti in valigie e borsoni, aggrappandosi alla possibilità di fare il mercato almeno qualche ora nel pomeriggio, anche se, quando il sole inizia a calare, anche il passaggio di clienti si dirada.

Mi dà il capogiro cercare con la scrittura di mettere in fila e in ordine i momenti: la repressione degli indesiderati appare una ruota che si ripete monotona. Ma qualcosa ha avviato questo nuovo accanimento. Il 25 giugno e il 4 luglio giungono in consiglio comunale e di circoscrizione due interpellanze che denunciano la presenza dei “venditori abusivi” nell’area del ponte Carpanini e del Balon. Le presentano un consigliere della Lega e il gruppo consiliare Fratelli d’Italia della Circoscrizione 7, appellandosi alla necessità di “tutelare il decoro urbano, la legalità e la sicurezza”. Vi si legge che “la presenza degli abusivi” che rappresenta “concorrenza sleale” verso i venditori regolari del Balon, “rischia di compromettere in modo serio la vivibilità e l’immagine della zona”.

Il 7 agosto i consiglieri della Lega presentano una mozione per l’istituzione di presidi di sicurezza nelle zone di Aurora e Borgo Dora “soggette da anni a fenomeni di microcriminalità, degrado urbano, spaccio e occupazioni abusive”, individuando tra i punti di presidio strategici anche il ponte Carpanini, “soprattutto nelle giornate del sabato”. La mozione richiede al presidente di circoscrizione (afferente al Pd) di coinvolgere il tavolo della sicurezza per istituire presidi di polizia, anche attraverso le risorse previste da un emendamento regionale che destina fondi specifici al pagamento degli straordinari della polizia locale. L’amministrazione della città anticipa le richieste: già dal 26 luglio invia i contingenti di polizia municipale a occupare il lungofiume.

È curioso notare che nello stesso periodo la destra si muove anche contro il mercato in esilio di via Carcano. Con la legge regionale 9/2025, datata 8 luglio, la giunta Cirio impone ai mercatini sociali un tetto di dodici mercati all’anno e promette sanzioni in caso di mancati controlli. Sarebbe la fine per i mercanti allontanati al cimitero. La Città di Torino a settembre rinnova la concessione all’associazione che gestisce quel mercato e concede le stesse condizioni in vigore. Se la destra dimostra di non avere alcuna lettura della città, ma solo fame di voti, la maggioranza Pd governa con efficacia la povertà e soffoca o contiene gli ultimi.

PRESENZE SUL PONTE
Ritorno con la mente agli ultimi sabati trascorsi tra il ponte Carpanini e Borgo Dora. Qualche straccivendolo ci saluta chiamando il nostro nome a gran voce quando ci vede arrivare. Da qualche tempo, insieme ad alcuni amici, portiamo tè caldo e caffè da condividere per colazione. In primavera il grande barilotto e i termos finivano in fretta. Osservando le mosse del potere, con i bicchieri di carta a scaldarci le mani, abbiamo imparato a conoscerci.

Alcuni, per me, sono vecchie conoscenze, incontrate un tempo in un centro diurno per persone senza fissa dimora di questa città, che oggi ha chiuso. Dormono ancora per strada, o occupano un posto letto più o meno temporaneamente nei dormitori cittadini. Ci sono persone senza documenti, ma so che anche coloro che sono in regola conoscono la marginalità, la precarietà abitativa, il lavoro nero o lo sfruttamento. Qualcuno ha una famiglia, magari lontana, altri sono soli; sono arrivati in città più di recente, o sono a Torino da tempo. Alcuni aspettano per tutta la settimana che arrivi il sabato, per guadagnare quel poco denaro che consente loro di sopravvivere e di concedersi un pacco di sigarette e una bottiglia di birra.

Distinguo bene tra i ricordi recenti anche la presenza delle guardie. «Dovresti vendere monili africani, basta con questi vestiti usati», dice un vigile a un venditore. Gli agenti eseguono gli ordini, anche coloro che ci dicono che gli dispiace impedire ai presenti la vendita di qualche scarpa vecchia: devono fare il proprio lavoro. Un giorno, sorge un dissidio tra due venditori in attesa di piazzare la stuoia, discutono sullo spazio da occupare. «Non potete fare un sabato a testa?», dice un uomo in divisa. Ancora, dicono i vigili ai venditori: è la legge, potete andare in via Carcano. Ma non sanno della separazione del mercato a inizio secolo, e dello spostamento forzato sei anni fa? Non si rendono conto che molti non possono permettersi di pagare uno stallo in via Carcano o che è preclusa loro la possibilità stessa di mettere in atto quanto suggerito per via delle leggi ostili di questo paese?

Per la seconda volta nell’arco della giornata, Claudia prova a esporre i suoi oggetti per terra, ma è prontamente circondata da un numero impressionante di divise. I vigili minacciano di sequestrare gli oggetti. «Lasciatela stare, lasciate stare solo lei per favore, noi non ci mettiamo!», dice qualche suo compagno di sventura. Ma i vigili si apprestano a mettere le mani sulle tele che lei stessa dipinge, così si raccolgono i dipinti per lei, che deve cedere. «Questo mercato che vedete – grida Claudia, la voce nitida – questo mercato che vedete! Voi state tutti zitti, che ci sono cento famiglie che devono lavorare, e voi state tutti zitti, sopra la loro merda! Dovete venire qua, appoggiare queste persone e non stare zitti nel vostro borgo di merda!».

Il flusso degli avventori intanto scorre. Più avanti, in piazza Borgo Dora, nel cuore del mercato, un coro anarchico intona canti della tradizione libertaria. Al pomeriggio le strade della città si riempiranno per il corteo in solidarietà alla Palestina. Sono lontani i tempi della resistenza del Balon e abbiamo incassato il colpo di quella sconfitta. Comprendo che la repressione funziona grazie all’indifferenza di tutti, e forse soprattutto alla paura, ricattabilità, e isolamento dei venditori. Quali vie non abbiamo percorso? È giusto non assumere alcun ruolo direttivo, ci ripetiamo, d’altronde sappiamo bene che non siamo noi a rischiare. Allora siamo presenti, solo per accompagnarli, per non lasciarli soli. Ma che cos’è che ci sfugge? (stefania spinelli)

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