
Tra il 9 e il 10 settembre scorso tre attivisti sono stati arrestati con l’accusa di resistenza e lesioni, reati commessi durante il Carnevale No Ponte tenutosi il primo marzo scorso nella città dello Stretto.
Il corteo, composto da circa un centinaio di persone mascherate, aveva attraversato le vie principali della città, facendo registrare qualche scontro tra manifestanti e forze dell’ordine. A fine giornata, un’agente di polizia riportava una frattura della clavicola guaribile in centotrentacinque giorni.
Dalla visione dei filmati delle telecamere e dai travestimenti usati, la questura individua tre ragazzi. Guido è accusato del reato di resistenza pluriaggravata. Gabriele e Andrea, oltre a resistenza pluriaggravata, vengono accusati del reato di lesioni gravi.
Gli arresti, come documentato da Radio Onda d’Urto e Radio Onda Rossa, avvengono contemporaneamente in diverse città italiane, tra Napoli, Bari e Varese.
Gabriele viene arrestato a Napoli mentre attende l’arrivo del Flixbus per recarsi da alcuni suoi amici in Francia. Giunto alla stazione trova gli agenti della digos di Messina, che insieme a quelli napoletani, lo fermano e lo portano all’istituto penitenziario di Poggioreale.
Nella stessa giornata, agenti della digos di Messina e di Bari perquisiscono l’appartamento di Sara, ex ragazza di Gabriele, che lì ha la residenza. Sara è indagata nello stesso filone di indagini.
Andrea viene bloccato su un’auto a Bari, fermato da una volante all’esterno del centro sociale Bread and Roses. La digos gli comunica di seguirlo in questura per la consegna di una notifica. In caserma scopre che la notifica è legata agli incidenti del Carnevale. Andrea trascorre la notte lì, e la mattina dopo viene trasferito nel carcere di Bari.
Guido intanto subisce una perquisizione a Varese, nel suo appartamento, insieme ad altri compagni. Ultimata la perquisizione, gli agenti lo accompagnano nel carcere di Varese.
Guido è l’unico che sapeva di un’indagine a suo carico, perché vittima della “caccia all’uomo” organizzata dalle forze dell’ordine messinesi qualche ora dopo la fine del corteo. Di quelle ore si ricorda l’entusiasmo di Matteo Salvini che si affrettava a diffondere pubblicamente la notizia, e la narrazione del solito copione sui facinorosi che portano scompiglio in città.
Altro elemento ricorrente è il tentativo di dividere i manifestanti tra buoni e cattivi. Gli attivisti, tutti e tre incensurati, vengono qualificati come pericolosi socialmente, una presunzione che sarebbe corroborata dalla generica appartenenza politica ll’area anarco-antagonista, un pretesto utilizzato anche dal gip di Messina per sostenere l’obbligo carcerario nei loro confronti.
Per una ventina di giorni gli attivisti vengono spostati da un carcere a un altro, dove vengono messi in isolamento, negandogli la possibilità di poter parlare con i propri conoscenti e avvocati. Intanto in loro supporto si costituisce un pool di legali (Moschella, Losco, Calabro, di Stefano), con l’obiettivo di smontare accuse molto gravi, le cui sanzioni potrebbero oscillare tra gli otto e i quindici anni.
Al momento i tre si trovano agli arresti domiciliari, in attesa della prossima udienza fissata a gennaio 2026. Abbiamo chiesto all’avvocato Francesco Calabro informazioni utili per approfondire la vicenda.
Hai ravvisato delle anomalie negli arresti?
Intanto mi preme dire che entrambi ragazzi hanno sofferto in maniera particolare il periodo di detenzione. Sia perché erano alla prima esperienza, sia le condizioni, notoriamente disumane.
La prima anomalia riguarda il caso di Andrea e gli accadimenti intercorsi tra l’arresto e l’interrogatorio di garanzia, fissato per il dodici.
Il mio assistito ha trascorso le prime notti al carcere di Bari, ma il giorno prima dell’interrogatorio è stato condotto al penitenziario di Potenza.
Uno spostamento che ha impedito di poter effettuare un colloquio difensivo in vista dell’interrogatorio con il giudice.
Su questo ho protestato con il gip, perché il trasferimento era motivato da esigenze organizzative legate all’amministrazione penitenziaria, che in questo strano paese prevalgono sul diritto della difesa.
Con Gabriele è accaduta la stessa cosa: per diverso tempo sia il sottoscritto che la madre abbiamo avuto difficoltà a ottenere colloqui telefonici nel carcere di Poggioreale. Un altro problema riscontrato nell’inchiesta riguarda la modalità di gestione dell’interrogatorio di garanzia.
Sebbene l’ordinanza di custodia cautelare fosse stata emessa dal gip di Messina, l’interrogatorio è stato delegato per rogatoria, nel caso di Gabriele al gip di Napoli, nel caso di Andrea a quello di Bari.
Parliamo di magistrati che non avevano alcuna conoscenza, se non informazioni sommarie, sulla vicenda.
La cosa singolare è che lo svolgimento dell’interrogatorio di Andrea è avvenuto in videoconferenza. Non si comprende a questo punto per quale ragione non abbia proceduto il gip di Messina, che aveva una conoscenza degli atti più dettagliata. Questo elemento fortunatamente non ha inciso, perché ci saremmo comunque avvalsi della facoltà di non rispondere.
Il gip di Messina accusa gli attivisti di essere pericolosi socialmente, puoi spiegare meglio queste accuse?
Il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto particolarmente gravi i reati, disponendo per tutti e tre gli attivisti la reclusione detentiva.
Il ragionamento è legato alla gravità del fatto contestato, e al contempo a una chiara manifestazione di ostilità, tenuta durante il corteo, nei confronti dell’autorità.
Una motivazione che a me è apparsa discutibile: perché se gli attivisti non rispettano le prescrizioni stabilite dal questore – travestimenti, utilizzo di fumogeni – tale comportamento non ravvisa un’automatica trasgressione delle prescrizioni imposte per gli arresti domiciliari. Parliamo di contesti differenti: dentro il corteo, di un’iniziativa collettiva nella quale la presenza del gruppo è un fattore motivante rispetto all’azione; negli arresti domiciliari invece sei solo. Inoltre, se violi le prescrizioni di un corteo non puoi immaginare che come conseguenza diretta tu possa finire in carcere, mentre se trasgredisci le prescrizioni dei domiciliari sei consapevole che non ci sono alternative al collocamento detentivo in carcere.
A che punto siamo del processo?
Abbiamo avanzato istanza di riesame contro l’ordinanza del gip che prevedeva il carcere. E il tribunale del riesame, il 26 settembre, ha disposto la sostituzione della misura carceraria in arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Da poco abbiamo ricevuto dal gip di Messina la notifica del decreto di giudizio immediato, fissato per gennaio.
Abbiamo quindici giorni di tempo dalla notifica per valutare riti alternativi che possono essere un giudizio abbreviato oppure, nel caso di chi ha la posizione più lieve, la sospensione del processo attraverso la richiesta di messa alla prova. Io mi orienterò ragionevolmente per un giudizio abbreviato. Certamente il processo è complicato, e non riesco a fare un pronostico su come finirà. Resta un processo che offre margini di difesa, in particolare sulle aggravanti e lesioni provocate al pubblico ufficiale.
Il processo potrebbe risentire dell’inasprimento delle pene stabilito dal nuovo ddl sicurezza?
Questi sono i primi processi post-pacchetto sicurezza. Nel caso specifico non ci sono effetti immediati sulle contestazioni e le qualificazioni giuridiche provocate dal pacchetto sicurezza: i fatti contestati risalgono al primo marzo del 2025, a un’epoca antecedente all’entrata in vigore del ddl.
Le imputazioni invece risentono del progressivo inasprimento delle pene precedente all’approvazione del ddl: provvedimenti che mirano a colpire maggiormente i reati commessi in occasione di manifestazioni svolte in luogo pubblico, come i reati di lesioni aggravate a carico di pubblici ufficiali. Stessa cosa per il reato di resistenza a pubblico ufficiale che con l’aggravante della presenza di più persone, dell’uso di armi improprie, e della condotta dentro la cornice di una manifestazione pubblica, sono condotte punibili con pene fino ai quindici anni di reclusione. (giuseppe mammana)

