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Chi ha figli in età scolare prima o poi si trova a dover decidere quando dare loro uno smartphone. Molte famiglie cercano di aspettare il più possibile per via dei potenziali effetti negativi del loro utilizzo – soprattutto di quello dei social media – sulla salute mentale. Allo stesso tempo però temono che negare lo smartphone ai figli, soprattutto quando i loro compagni cominciano ad averlo (attorno alla quarta o quinta elementare) e usarlo per chattare, possa farli sentire isolati, con effetti comunque negativi.
Per trovare un compromesso a volte si comincia a dare ai figli un vecchio telefono, di quelli che non hanno accesso a Internet, magari già nella scuola primaria (tra i 6 e gli 11 anni). Oppure, come ha raccontato in un articolo sull’Atlantic un professore di ingegneria e scienze informatiche di St. Louis (Missouri), Ian Bogost, si può regalare loro uno smartwatch. «Uno smartwatch dovrebbe fare meno danni di uno smartphone», ha scritto, «forse potrebbe pure fargli bene».
Bogost non è il primo a sostenere questa tesi: quella di regalare uno smartwatch ai bambini in attesa dello smartphone è una soluzione sempre più condivisa anche da altri genitori, e anche nelle famiglie italiane.
Esistono modelli di smartwatch fatti apposta per i bambini, con caratteristiche diverse a seconda delle fasce di età. In generale sono un po’ più grossi, colorati e facili da usare rispetto a quelli pensati per gli adulti: certi hanno funzionalità di base come orologio e contapassi, e costano poche decine di euro, mentre altri permettono di telefonare, scambiare messaggi e giocare, oppure di impostare attività da completare, sfruttando i meccanismi della gamification, ma non consentono l’accesso a Internet. Visto che si indossano al polso, poi, è meno facile perderli.
Secondo Bogost però molti smartwatch per bambini sono giocattoli con software dozzinali, che proteggono chi li usa dai meccanismi potenzialmente dannosi di social network e app di messaggistica, ma il cui funzionamento è comunque sempre controllato dai genitori (che possono decidere con chi possono chattare, e controllare i loro spostamenti col GPS) senza aiutare davvero i bambini ad approcciarsi consapevolmente agli strumenti digitali.
Per questo per sua figlia di dieci anni lui racconta di aver scelto uno smartwatch per adulti, quindi più costoso, che le permette di fare chiamate, usare app di messaggistica e mail, facendo maturare in lei un po’ più di consapevolezza di cosa vorrà dire avere uno smartphone ed essere costantemente connessi. Gli smartwatch per adulti permettono di messaggiare, ma con meno facilità di quanto si fa con uno smartphone, e quindi il rischio che i bambini passino ore a chattare è minore. Bogost ha anche detto che pur potendo controllare gli spostamenti di sua figlia col GPS si è reso presto conto che non aveva quasi mai bisogno di farlo, e che anzi sarebbe andato contro il suo intento principale, che era appunto quello di renderla più autonoma e responsabile.
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Bogost dice che il risultato, per la sua esperienza, è che pur con questi limiti sua figlia si sente parte del mondo tecnologico di cui coetanei e adulti fanno parte, ma libera dalle ansie legate all’uso dei social media e delle loro bacheche e algoritmi. Aggiunge che è diventata più brava a scrivere i messaggi e reattiva nel rispondere (prima lo faceva da un iPad, con cui però guardava spesso video, quindi messaggiare per lei era un fastidio). Inoltre, dice, è invogliata a comunicare con altre persone, compresi parenti che altrimenti non contatterebbe.
Secondo il noto psicologo sociale statunitense Jonathan Haidt, la possibilità di avere Internet a portata di mano giorno e notte ha condizionato le esperienze quotidiane e i processi di sviluppo degli adolescenti per moltissimi aspetti, dalle amicizie al sonno, dallo studio alla sessualità. Nell’ultima quindicina d’anni, poi, è stato dimostrato come l’uso precoce degli smartphone e dei social network possa ridurre la concentrazione, contribuire a far aumentare ansia e depressione, ed esporre di più anche al bullismo online e ai contenuti misogini, a volte con conseguenze molto gravi.
Per questi motivi Bogost ritiene che gli smartwatch possano essere sfruttati per aiutare bambine e bambini a gestire a poco a poco le comunicazioni online, in un contesto relativamente protetto: sarebbe irrealistico, dice, pensare che siano in grado di usare da soli uno smartphone in maniera sicura, sana e responsabile senza aver mai usato uno strumento simile.
Al momento gli studi scientifici sul tema sono pochi, e non ci sono elementi sufficienti per dire se dare uno smartwatch ai bambini sia dannoso o no, o se possa essere addirittura formativo. Tra le preoccupazioni diffuse ci sono quelle per la privacy e per la sicurezza, e il fatto che non è da escludere che anche lo smartwatch distragga i bambini a scuola, renda più difficili le interazioni dal vivo o faccia sentire i bambini troppo controllati dai genitori.
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