
Acerra, 10 maggio 2025. In quello che per tre decenni è stato un luogo simbolo dell’emergenza rifiuti, e contemporaneamente delle lotte ambientali, sfila il corteo che pretende l’esecuzione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo con cui si condanna l’Italia per non aver tutelato la salute dei propri cittadini, imponendole di attuare un piano di bonifiche nell’arco di due anni.
Comitati, studenti, attivisti e cittadini da tutta la provincia compresa tra Napoli e Caserta affollano le strade del centro al grido di “abbiamo sempre avuto ragione noi”. Più che dai presenti il corteo si racconta, però, a partire dagli assenti.
Nonostante l’appuntamento sia in piazza Duomo, il primo è proprio il vescovo, monsignor Di Donna. Il pastore gode di grande credito sul territorio, e aveva guidato il suo “gregge” nel corteo del 2023 contro la quarta linea dell’inceneritore (in aperto scontro con l’esecutivo regionale); oggi, però, sembra aver ripiegato su posizioni più moderate e di dialogo con il commissario unico per le bonifiche, Giuseppe Vadalà. Un repentino cambio di rotta successivo all’ultima legge di stabilità che, come denunciano alcuni consiglieri regionali, vede una pioggia di finanziamenti attribuiti alle diocesi, senza, dall’altro lato, l’elaborazione di particolari progettualità o strategia di sviluppo del territorio.
All’appello mancano anche i rappresentanti istituzionali: il presidente del consiglio comunale Raffaele Lettieri (ex sindaco per due mandati) e il sindaco Tito D’Errico, eletto proprio con Lista Lettieri. In un comunicato, la giunta acerrana ha richiamato più alle “responsabilità istituzionali […] che alle azioni dimostrative (in quanto) la difesa dell’ambiente non può diventare terreno di scontro ideologico né strumento di visibilità”. È una sollecitazione che potrebbe anche essere auspicabile, se non fosse che negli ultimi tredici anni le responsabilità sono state in capo a questi stessi amministratori e che i due milioni e settecentomila euro per la bonifica del sito di Calabricito, per esempio, erano già stati stanziati dieci anni fa (proprio con un accordo di programma tra la Regione e Raffaele Lettieri): il progetto invece non è stato portato a termine, mentre l’ente guidato da Vincenzo De Luca continuava a finanziare programmi di “rigenerazione integrata urbana sostenibile” (PRIUS), l’ultimo dal valore di quattordici milioni di euro. Il comunicato istituzionale si chiude con un richiamo alla fiducia nella “filiera istituita tra diocesi, Comune e Regione, ora ampliata al governo, nelle veci del Commissario unico Vadalà” (“[…] chi si impegna veramente per il Bene di Acerra”).
Probabilmente questi esponenti istituzionali non sarebbero stati ben accolti dai partecipanti al corteo, e nello specifico dagli studenti che hanno coniato per loro una serie di slogan divenuti celebri, al suono dei quali li hanno allontanati dalle ultime manifestazioni. Colpito da una feroce campagna di repressione per opera della dirigenza scolastica nel 2024, quando il preside La Montagna sospese settantuno studenti (ritirando poi il provvedimento) dopo l’occupazione del liceo De Liguori, il movimento studentesco ha visto in quest’ultimo anno indebolite le proprie capacità organizzative. Ciò nonostante, a questi ragazzi va il merito di farsi portavoce di una libera e sincera rabbia, senza la quale questo corteo trascorrerebbe anche troppo tranquillamente, nonché del coraggio necessario per portare avanti una lotta anche quando non è più così popolare.
Mentre la manifestazione prosegue, tra la folla prova a farsi notare qualche altro personaggio che oggi si pone in opposizione alla giunta comunale, e che della tutela dell’ambiente ha fatto il fulcro della propria campagna elettorale nel 2022. Ancora una volta, però, si tratta degli stessi politici che, rivestendo posizioni di rilievo, non hanno portato avanti azioni concrete in tema ambientale nell’ultimo decennio: tra questi vale la pena citare anche solo i membri dell’amministrazione Esposito, responsabili, per esempio, di non aver mai fatto entrare in funzione gli impianti di depurazione della falda acquifera, avendo allo stesso tempo continuato a pagare il personale che vi agiva.
“Bonifiche subito!” è uno slogan che ritorna da trent’anni e che rischia di assolvere tutti se non ci si assume la responsabilità di una trasformazione trasversale, come spesso ripete Valentina Centonze, avvocata che ha promosso e vinto il ricorso alla Cedu. Un rischio concreto insito nello strumento stesso del commissariamento promosso dal governo Meloni: in primo luogo, perché il commissario assolve a un incarico che ha un preciso inizio e una fine, connesso strettamente ai fondi stanziati (ne consegue che, laddove lo stanziamento fosse insufficiente, le istituzioni potrebbero trovare il modo di “assolversi” di fronte alla Corte); in secondo perché il decreto legge del 14 marzo che gli conferisce l’incarico demanda al commissario l’individuazione dei fondi e le operazioni di bonifica, il monitoraggio sanitario e il piano comunicativo, ma trascura la prescrizione più significativa della sentenza: l’istituzione di un’autorità indipendente composta dalla società civile, che prenda parte al processo decisionale e vigili sulle operazioni, oltre che l’avvio di una riforma in materia penale e amministrativa in relazione ai reati ambientali e al meccanismo di individuazione delle responsabilità.
La Terra dei fuochi non può essere una questione isolata, scindibile dal conteso. Un contesto di piccole e medie imprese che si fondano su regimi di lavoro per lo più irregolare, e che scaricano spesso sulla collettività la voce più onerosa del loro bilancio: quella dello smaltimento dei rifiuti industriali; un contesto in cui agisce una classe politica il cui unico scopo, ben lungi dal farsi espressione delle esigenze del territorio, è stato quello di mantenere lo status quo, tutelando i propri interessi particolari e le proprie clientele. Infine, il contesto di una società che dopo anni di lotte ha smarrito sé stessa, intrappolata in un vuoto politico che ha inaridito il territorio e disintegrato qualsivoglia tendenza all’emancipazione collettiva.
Dopo un lungo percorso il corteo si chiude con l’intervento del Comitato unico contro la quarta linea, che prova a dare nuova linfa alla mobilitazione e su cui adesso pesa la responsabilità di tenere alto il conflitto nelle sedi istituzionali, ribaltando una narrazione che mostra la popolazione come un soggetto passivo e vittimizzato. La sfida è quella di non abbassare la guardia rispetto agli interventi in programma, pianificati da chi con una mano firma l’avvio delle bonifiche e con l’altra rinnova il contratto di gestione dell’inceneritore (attraverso una gara di appalto dai contenuti piuttosto ambigui, che aumenta la capacità inceneritiva di ulteriori centomila tonnellate). Non c’è più tempo per protagonismi o richiami populistici: è il momento di intervenire direttamente su un modello di sviluppo che antepone il profitto alla salute degli abitanti, di disegnare un futuro diverso anche solo in memoria degli unici assenti giustificati di questo corteo: le vittime. (maddalena de simone)