
Da mesi l’amministrazione comunale è impegnata a sgomberare con la forza persone e famiglie – rom e non rom – che occupano appartamenti di case popolari inagibili e lasciati vuoti. Donne, uomini e bambini finiscono in strada, senza ricevere assistenza e soluzioni alternative. Allo stesso tempo la Città e la Regione conducono una campagna di odio pressoché quotidiana contro famiglie rom – spesso sgomberate dalle stesse case occupate – che vivono in strada riparandosi in camper e furgoni. Non stupisce il razzismo delle istituzioni, ma inquieta la collettiva assenza di memoria: le famiglie braccate sono le stesse che furono cacciate dai campi formali e informali che si trovavano lungo la Stura, e non solo. La baraccopoli più ampia e abitata, quella di Lungo Stura Lazio, fu sgomberata nel 2015 grazie alla collaborazione di una cordata di enti del terzo settore fra i quali figurava Terra del Fuoco.
* * *
L’associazione Terra del Fuoco (TDF) nasce a Torino nel 2001 con l’obiettivo di promuovere il “protagonismo giovanile”. Appena nata, l’associazione ottiene in concessione dal comune di Torino una grande struttura dismessa nel quartiere San Paolo, dove un tempo aveva sede il dopo-lavoro degli operai Lancia. La nuova sede viene condivisa con altre due associazioni di giovani torinesi: una di queste è Acmos (Aggregazione, Coscientizzazione, MOvimentazione Sociale), da cui avrà origine Libera Piemonte, creazione di Luigi Ciotti ed emanazione del Gruppo Abele; l’altra è Non più da soli che si occupa di far incontrare studenti universitari interessati a dare sostegno a persone anziane a cambio di una stanza. Presto le tre realtà danno vita ad una associazione di secondo livello – Caraglio 101 – che apre il Centro di Protagonismo Giovanile Belleville. Da qui muoveranno i primi passi futuri esponenti della politica torinese e del privato sociale, garantendosi una carriera all’interno del terzo settore o sviluppando legami politici in vista di future tornate elettorali. Alcuni leader infatti finiranno per candidarsi in partiti nati dalle ceneri del Pci o eredi della Democrazia Cristiana. È il caso, fra gli altri, di Michele Curto, uno dei fondatori di Terra del Fuoco, di cui è presidente fino al 2011. Dal 2006 al 2011 Curto è anche referente dell’area europea di Libera e nel 2011 si candida in Sinistra Ecologia Libertà per appoggiare il Partito Democratico con la candidatura a sindaco di Piero Fassino.
Il contesto nel quale TDF e la sua leadership muovono i primi passi è quello del progressivo smantellamento del welfare cittadino seguito alla crisi del 2008 e legato anche all’enorme debito lasciato dalle olimpiadi invernali del 2006 nelle casse comunali. Servizi che per decenni erano stati dati in appalto dal Comune a cooperative storiche della realtà torinese sono tagliati o fortemente ridimensionati: ha inizio l’era dei bandi e di chi vince al ribasso, con vecchie e nuove associazioni e cooperative sociali che si ritrovano a competere tra loro. Nel giro di pochi anni i grandi enti del terzo settore torinese si trasformano in imprese sociali attive in diversi campi di intervento per accedere a un maggior numero di bandi al fine di ottenere finanziamenti, complice anche un “marketing del bene” che coinvolge la società civile attraverso la creazione di un immaginario politicamente e socialmente impegnato, mentre parallelamente i soggetti più marginali e fragili da “utenti” diventano “clienti” dei loro servizi. Questa nuova generazione di enti che incarnano l’impegno civile e la ragione umanitaria gettano le basi del terzo settore che osserviamo oggi: sono vere e proprie “imprese del bene” che coltivano, attraverso azioni simboliche e narrazioni, un capitale politico e sociale in grado di garantire un ritorno economico.
All’inizio TDF s’impegna nelle politiche giovanili ed educative e tra le varie attività spicca il Treno della memoria che dal 2005 promuove viaggi nei campi di Auschwitz e Birkenau per gli studenti delle scuole superiori. In seguito si specializza nel “settore migranti e politiche sociali”, all’interno del quale rientrano sia le persone rom che rifugiati e richiedenti asilo.
A partire dal 2006 TDF inizia a lavorare con persone originarie della Romania che vivono in campi e baraccopoli di Torino o dei comuni limitrofi. TDF diventa capofila del progetto di “autorecupero” di un edificio nel Comune di Settimo Torinese, che verrà chiamato “il Dado”, adibito a social housing per persone e famiglie rom e italiane. All’origine del progetto Dado vi è un rogo accidentale che nel novembre 2006 distrugge un campo a Mappano dove vivono centinaia di persone originarie della regione di Timisoara. Le persone e famiglie rimaste senza casa sono costrette a vagare per mesi tra tendopoli e campi di “emergenza” gestiti da Croce Rossa e protezione civile. Mentre TDF inserisce alcune famiglie rimaste senza casa dopo l’incendio (otto in tutto) all’interno del social housing innovativo, per tutte le altre persone sfollate l’unica possibilità è cercare rifugio nella baraccopoli di Lungo Stura Lazio, il Platz.
Gli ospiti del Dado devono seguire una serie di regole stabilite dall’associazione, pena l’espulsione dalla struttura. Gli ospiti non devono solo farsi carico di parte della ristrutturazione (secondo la pratica definita di “autorecupero”), ma devono anche firmare un “patto di cittadinanza” che impone loro il raggiungimento di diversi “obiettivi” come la frequenza scolastica dei minori e l’inserimento lavorativo degli adulti, in modo da stimolare l’“autoresponsabilizzazione” e “l’integrazione” delle famiglie coinvolte. L’esperienza del Dado verrà in seguito riconosciuta come “Best practice” dall’Unione Europea, accreditando TDF tra le associazioni e cooperative più autorevoli che storicamente si sono occupate di popolazioni romanì.
Dal 2010 TDF ha avuto in gestione dal comune di Torino il campo informale di corso Tazzoli, in zona Mirafiori sud, abitato da circa tredici anni da oltre duecento persone povere, originarie della Romania, etichettate come “rom”. Anche in questo spazio, in linea con l’esperienza del Dado, vige un regolamento redatto dall’associazione su chi può o non può risiedere e accedere nel campo o intraprendere un viaggio, insieme ad altre forme di controllo e le relative sanzioni. Nella gestione del campo TDF collabora con il nucleo nomadi, un nucleo della polizia municipale apertamente di tipo etnico specializzato nella gestione dei “rom” e nato a Torino nei primi anni Ottanta.
Nel 2009 per il comune di Torino è diventato troppo dispendioso e problematico gestire i numerosi campi rom definiti legali, creati cioè dalle stesse istituzioni a partire dagli anni Settanta. Così il comune affida la gestione dei campi autorizzati (quello in via Germagnano e quello in strada Aeroporto) alle cooperative Valdocco, Liberi Tutti, Stranaidea, all’associazione Aizo (Associazione Italiana Zingari Oggi) e alla Croce Rossa. Nel gennaio 2010 inizia il progetto Selarom (che significa “villaggio rom”) nel campo di via Germagnano e strada Aeroporto. Selarom è realizzato dalle stesse cooperative e associazioni strutturate in Rtc (Raggruppamento temporaneo di concorrenti). Alla fine del 2011 Terra del Fuoco entra ufficialmente nella cordata di associazioni.
Nel 2010 TDF ha già iniziato alcune attività all’interno della più grande baraccopoli torinese che si trova in Lungo Stura Lazio, nella zona nord della città, dove vivono circa duemila persone povere, rom e non rom, originarie della Romania. Anche in questo caso istituzioni e forze dell’ordine etichettano tutti gli abitanti dell’insediamento come “rom”. A partire da agosto 2010 ha luogo una “bonifica” dei rifiuti presenti nella baraccopoli, promossa da TDF e inserita in una più ampia campagna di volontariato a cui fa capo Legambiente con il patrocinio del comune di Torino e della regione Piemonte. L’iniziativa, a cui viene dato particolare risalto mediatico, rappresenta al contempo un’operazione di polizia e una strategia per iniziare a separare i poveri “buoni” dai “cattivi”. In quest’occasione soci di TDF e volontari vengono immortalati mentre spalano rifiuti o addirittura li rimuovono a mani nude (come ricordano alcuni abitanti di Lungo Stura Lazio) e lo stesso Curto, presidente dell’associazione, dichiara a La Stampa che i partecipanti rom alla pulizia dimostrano «di volersi integrare» a differenza di «chi invece tende a vivere di espedienti a danno della collettività». Poco dopo la bonifica del campo Michele Curto lascia la presidenza di TDF per candidarsi con Sel e viene eletto in consiglio comunale.
Nello stesso anno delle elezioni comunali si prospetta l’arrivo di un ingente finanziamento per la Città di Torino grazie ai fondi stanziati dal ministero dell’Interno per la cosiddetta “Emergenza nomadi”. Ha così inizio nel 2013 un mega-progetto di oltre cinque milioni di euro che il Comune affida al raggruppamento temporaneo d’impresa formato dalle stesse organizzazioni del progetto Selarom. Questa volta gli enti del terzo settore hanno presentato il progetto La città possibile, il cui scopo dichiarato è ancora una volta “realizzare percorsi efficaci di integrazione e di cittadinanza” per le circa 1300 persone “rom” che abitano nei campi di Lungo Stura Lazio, corso Tazzoli, via Germagnano, strada Aeroporto. Nei fatti viene finanziata l’enorme macchina dello sgombero della baraccopoli di Lungo Stura Lazio dove in realtà vivono – a dispetto del censimento dei responsabili e della prefettura – oltre duemila persone. Gli abitanti classificati come “meritevoli” devono firmare un “patto di emersione” dall’illegalità e partecipare attivamente allo sgombero distruggendo la propria baracca. I “meritevoli” selezionati dalle organizzazioni umanitarie vengono collocati in case o strutture reperite dalle stesse associazioni e cooperative sul mercato privato degli affitti (come lo stabile di corso Vigevano 41, di proprietà del noto palazzinaro Giorgio Molino) o devono accettare il rimpatrio “volontario” in Romania. Nell’arco di pochi mesi, o al massimo di un anno, queste stesse persone e famiglie vengono sfrattate a causa della fine dei fondi del progetto che sostenevano i costi dell’affitto, mentre tutti gli altri sono costretti a costruire una nuova baracca in altri campi e baraccopoli della città.
Quando la grande operazione militare di sgombero della baraccopoli è quasi giunta al termine, emergono alcune inchieste giudiziarie che di fatto non portano a nulla, ma che svelano alcuni aspetti interessanti sulla gestione dei fondi e sui costi sostenuti da cooperative e associazioni. Una delle inchieste si chiude nel dicembre 2017 con la sola accusa di “truffa aggravata” contestata agli esponenti di Valdocco e Terra del Fuoco contro cui lo stesso comune si costituisce parte civile.
A fine progetto (novembre 2015) le ultime famiglie escluse da La città possibile, insieme a un gruppo di solidali e alle altre persone e nuclei che nel frattempo sono stati sfrattati dalle varie, insostenibili soluzioni abitative, decidono di occupare un lato dell’ex-caserma di via Asti, uno spazio enorme di circa ventimila metri quadrati nella precollina torinese. L’ex-caserma però è già stata “occupata” nell’aprile dello stesso anno da alcuni membri di TDF che, mossi da valori civici e democratici, dichiarano di voler utilizzare la struttura per chi si trova in condizioni di disagio abitativo e sociale. Qui nel corso dei mesi TDF organizza eventi sociali e culturali con la collaborazione di accademici, intellettuali e politici di sinistra o di orbita Sel. In questa fase il Comune assume direttamente il ruolo di mediatore tra TDF e la Cassa Depositi e Prestiti, proprietaria dell’edificio, avviando una trattativa segreta affinché la struttura resti ai giovani volenterosi dell’associazione. Quando giungono le famiglie rom rimaste senza casa e senza alcuna alternativa abitativa, le istituzioni decidono di agire con forza: prefettura, questura e Comune sgomberano in grande fretta tutti gli occupanti della vecchia caserma, compresi quelli di TDF.
Lo sgombero dell’ex-caserma e l’inizio delle inchieste giudiziarie e amministrative legate al progetto La città possibile segnano per l’associazione un rapido declino d’immagine, accompagnato da difficoltà di ordine politico. Michele Curto ha iniziato da tempo un’attività imprenditoriale nel settore della produzione del caffè a Cuba e altri dirigenti e amministratori di TDF fondano una nuova cooperativa sociale, Babel, che partecipa a bandi pubblici e privati. La cooperativa Babel partecipa da subito al nuovo progetto di sgombero delle palazzine occupate dell’Ex-Moi nella zona sud di Torino, portato avanti da vari enti torinesi del terzo settore che si spartiscono gli ingenti fondi messi a disposizione da ministero dell’Interno e dalla Compagnia di San Paolo (2017-2019). Anche in questo caso l’obiettivo è sgomberare in modo “dolce” circa mille e cinquecento persone con la diretta partecipazione degli sgomberati che finiscono, in una minima parte, in progetti definiti di “terza accoglienza”. Questa, certo, è un’altra storia, parte di un più ampio, feroce, disegno complessivo. (voce a cura di manuela cencetti)
______________________________