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Nel giro di poche settimane, a novembre, Google ha presentato due nuovi modelli di intelligenza artificiale piuttosto avanzati: Nano Banana 2 (per la generazione di immagini) e Gemini 3. La novità principale però è stata che per farlo non ha usato le unità di elaborazione grafica (GPU) che usano tutte le altre aziende del settore e che sono prodotte da Nvidia, ma dei chip alternativi chiamati Tensor Processing Units (TPU), di proprietà di Google stessa.
In questo modo Google ha migliorato molto la propria posizione nella gara in corso nel settore delle intelligenze artificiali e guadagnato molto in borsa, colpendo in particolare Nvidia, che a ottobre era diventata la prima azienda al mondo a valere più di 5mila miliardi di dollari e a novembre aveva presentato ottimi risultati finanziari.
Pur essendo entrambi dei chip ad alte prestazioni, GPU e TPU sono prodotti fondamentalmente diversi: i primi sono nati per ottimizzare la resa grafica delle immagini (soprattutto nei videogame) e solo in seguito la loro potenza di calcolo è stata sfruttata in altri ambiti, come l’AI. Le TPU, invece, sono state create appositamente per il machine learning, una branca dell’intelligenza artificiale.
In particolare, le TPU sono pensate per eseguire un’operazione particolare, la moltiplicazione di matrici, alla base del processo di addestramento delle reti neurali usate dai chatbot. Google aveva iniziato a sviluppare questi chip nel 2015 e attualmente è alla settima generazione. Il modello di TPU presentato quest’anno, Ironwood, è circa trenta volte più efficiente di quello del 2018, ed è in grado di ridurre i consumi energetici dei data center, cioè le grosse strutture per l’elaborazione di dati che servono a far funzionare i software di intelligenza artificiale.
È anche grazie a queste prestazioni che Google è riuscita a sviluppare Gemini 3, oggi considerato il modello più potente nel mercato, senza nemmeno una GPU di Nvidia, e aggirando quindi il monopolio dell’azienda. Ciò nonostante, come ha ricordato Nvidia stessa in un comunicato, Google continua a essere uno dei più grandi acquirenti di GPU da Nvidia per molte altre applicazioni.
Non è solo Google a puntare sulle TPU: la scorsa settimana il sito The Information ha rivelato che anche Meta si starebbe preparando a comprare delle TPU di Google per i suoi data center. Negli stessi giorni anche Anthropic, l’azienda che sviluppa il chatbot Claude, ha annunciato di voler aumentare l’utilizzo di questi chip. In particolare la notizia riguardante Meta, che in questi mesi ha investito centinaia di miliardi di dollari nel settore, ha avuto conseguenze notevoli nel mercato, provocando perdite sia per Nvidia che per AMD, un’altra azienda produttrice di chip.
Non è l’unico problema di Nvidia in questo momento. Negli ultimi mesi sono aumentati anche i dubbi di molti analisti e commentatori, secondo cui la corsa agli investimenti nei data center starebbe causando una bolla speculativa, al cui centro ci sarebbe proprio Nvidia. Questi timori sono stati confermati da alcune dichiarazioni di Michael Burry, investitore noto per aver “previsto” la bolla dei mutui subprime del 2008 (e aver ispirato il film The Big Short del 2015), che lo scorso mese ha venduto le sue azioni di Nvidia e iniziato di fatto a scommettere sul calo del loro valore.
Anche per questo la scorsa settimana, prima che l’azienda presentasse i risultati del suo ultimo trimestre, la tensione tra gli investitori era molto alta. «Se avessimo avuto un trimestre negativo, se fossimo stati fuori anche solo di un pelo, se fossimo sembrati anche solo un po’ traballanti, il mondo intero sarebbe crollato», aveva commentato il CEO dell’azienda Jensen Huang.
La posizione difensiva di Nvidia si è vista anche in un suo comunicato della scorsa settimana, in cui si è difesa dalle accuse di Burry e da quelle di una newsletter di settore, che paragonava alcune operazioni finanziarie dell’azienda a quelle di Enron, multinazionale statunitense del settore energetico che fallì nel 2001 a causa di un enorme scandalo finanziario. «Enron mentì su quello che stava facendo, e ciò è fraudolento e illegale», ha precisato Nvidia nel comunicato, molto discusso.
E poi c’è la Cina. Sia con l’amministrazione di Joe Biden che con quella di Donald Trump, infatti, il governo statunitense ha tentato di limitare (se non proprio vietare) l’esportazione delle più potenti GPU in Cina, viste le applicazioni delle AI nel campo militare e nella sicurezza nazionale. Quest’estate l’amministrazione Trump aveva permesso a Nvidia di riprendere le esportazioni in Cina (in cambio del pagamento del 15 per cento dei ricavi dalle vendite nel paese) ma il governo cinese ha impedito alle sue aziende di comprarle, perché prima vuole verificare che non rappresentino una minaccia alla sicurezza nazionale.
La guerra commerciale in corso ha spinto la Cina a investire su alternative locali a Nvidia, e ne ha approfittato specialmente Huawei. Anche Alibaba, Cambricon e Baidu stanno investendo molto nella progettazione e produzione di GPU, per soddisfare la domanda interna cinese.
Pur essendo ancora indietro rispetto a Nvidia, il settore tecnologico cinese ha fatto progressi notevoli, tanto che, a inizio novembre, Huang ha detto al Financial Times che «la Cina vincerà la gara dell’intelligenza artificiale». Nei giorni seguenti Nvidia ha moderato in parte la dichiarazione del suo capo e sottolineato quanto sia importante poter continuare a vendere i suoi prodotti in tutto il mondo.

