
“La stazione è blindata!” sentiamo appena arrivati a Udine con il treno. Sono le sei di sera del 14 ottobre e l’inizio della partita fra le nazionali maschili di calcio di Italia e Israele è previsto per le otto e quarantacinque. Due uscite della stazione sono state bloccate e il piazzale antistante è pieno di polizia e altre forze dell’ordine. I cestini sono stati sigillati con degli adesivi rossi con una scritta che ne comunica la chiusura a causa del corteo.
Convocata dal Comitato per la Palestina di Udine, dal movimento BDS (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni), dalle Comunità palestinesi del Friuli e del Veneto, dall’associazione Salaam Ragazzi dell’Olivo, comitato di Trieste e da Calcio e Rivoluzione, la manifestazione aveva l’obiettivo di denunciare l’uso dello sport come strumento di propaganda da parte di Israele e di chiedere al mondo sportivo italiano in generale, e al calcio in particolare, di prendere posizione. Si chiedeva allo stesso tempo alla Fifa di escludere le nazionali israeliane dalle competizioni calcistiche internazionali, al pari di quanto fatto con le nazionali della Russia dopo l’attacco all’Ucraina del 2022. Con gli stessi obiettivi, altri presidi si sono svolti in contemporanea in diverse altre città italiane.
Giusto un anno fa la nazionale israeliana era stata già ospitata a Udine per una partita contro l’Italia e un corteo simile aveva raccolto circa tremila presenze. Il tema dell’uso dello sport da parte di Israele per migliorare la propria immagine non è una novità: basti ricordare che già nel 2018 il Giro d’Italia partì da Gerusalemme, svolgendo poi due altre tappa in Israele. Più in generale lo sport italiano sembra avere una certa difficoltà nell’evitare il rapporto con Stati che presentano problematiche per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, come suggerisce il rapporto ormai di lunga durata della Federazione Italiana Giuoco Calcio con l’Arabia Saudita per l’organizzazione della Supercoppa italiana (2018, 2019, 2022, 2023, 2024 e dopo sono previste anche le prossime edizioni).
Il concentramento in piazza della Repubblica è vicino alla stazione, bastano pochi minuti a piedi per arrivarci: quando arriviamo le strade intorno alla piazza sono già piene e gli spezzoni si sono costituiti. Sono arrivate oltre trecento adesioni alla convocazione e la diversità si nota anche a un’occhiata superficiale. Sono presenti i sindacati di base così come la Cgil, gruppi scout, gruppi autonomi e partiti, e un nutrito spezzone studentesco. La sensazione è che, a Trieste come a Udine, la mobilitazione per la Palestina abbia portato nello stesso corteo soggetti che in altri campi possono faticare a parlarsi, ma che si sono ritrovati almeno sulla partecipazione a queste iniziative.
Via Roma, la strada che collega la piazza alla stazione, ha diversi negozi aperti, soprattutto venditori di kebab. «Credo che siano gli unici a lavorare ancora, quasi tutti gli altri negozi della città sono chiusi», ci fa notare una persona che abita a Udine. È così: il corteo inizia a snodarsi per le strade della città friulana e quando si entra in centro tante serrande sono abbassate. I pochi locali che hanno scelto di rimanere aperti hanno comunque cercato di proteggere le vetrine. Con una nota datata 9 ottobre il prefetto di Udine aveva proibito la vendita di bevande o cibo in contenitori di vetro o ceramica e aveva disposto la rimozione degli arredi urbani potenzialmente pericolosi, sostenendo che il corteo potesse essere “occasione per l’infiltrazione di frange violente, con rischi per l’incolumità di persone e cose”, contribuendo forse a creare un clima di timore nei confronti della manifestazione
Il corteo è animato, c’è anche una murga molto vivace e composita che dà il ritmo. Ogni tanto qualcuno si affaccia dalle finestre, ma in generale sembra che parte della città si sia rintanata. La manifestazione attraversa delle strade vuote, presidiate dalla polizia, dai carabinieri e dalla guardia di finanza. Ci sono cartelli e striscioni di diverse realtà italiane, si fanno cori e si canta. A un certo punto, non lontano dal municipio, in pieno centro, una parte del corteo si lancia in un coro che invita a raggiungere lo stadio dove la partita sta ormai per iniziare. «Si vede che non sono di Udine, lo stadio da qui è molto lontano», dice qualcuno. In effetti lo stadio Friuli, noto anche come Bluenergy, dal nome dello sponsor principale, è collocato a circa quattro chilometri dal centro della città ed è uno dei pochi in Italia gestito dalla squadra che ci gioca, l’Udinese. Il corteo termina così nella grande piazza Primo maggio, accanto alla collina su cui è collocato il castello della città. La piazza è talmente grande, soprattutto senza le macchine che di solito lì sono parcheggiate, che il corteo, pur numeroso (si parla di dieci o quindicimila persone), si sparpaglia: qualcuno rimane nel giardino centrale ad ascoltare degli interventi, altri si avvicinano a un grande tessuto su cui sono stati scritti i nomi delle persone minorenni morte a Gaza dall’inizio dell’invasione israeliana fino a luglio 2025.
A un tratto un nutrito gruppo di persone si dirige verso un lato della piazza, accanto al Santuario della beata Vergine delle grazie: è una delle due strade che dalla piazza che possono portare verso lo stadio. In breve la fila di agenti che blocca la strada viene rinforzata, qualcuno grida «Corteo! Corteo!», ma i due gruppi rimangono a confrontarsi per diversi minuti sulle stesse posizioni. Nella folla si vede uno striscione che chiede la liberazione di Marwan Barghouti.
Alcune persone del servizio d’ordine della manifestazione vanno avanti e indietro per avvertire che eventuali spostamenti del corteo dalla piazza non sono stati concordati e che chi non vuole esporsi deve rimanere al centro della piazza. Poi il gruppo si sposta verso l’altra strada di uscita verso nord, dove trova un altro schieramento di polizia. Anche qui il confronto va avanti diversi minuti fino a quando la polizia decide di fare a più riprese ricorso agli idranti e ai lacrimogeni, che in diversi casi atterrano vicino al centro della piazza, respingendo indietro i manifestanti. In alto un elicottero la illumina con un potente faro, mentre gli scontri continuano ancora per circa un’ora. Poco a poco però la piazza si svuota, mentre la partita viene giocata in uno stadio semivuoto. Arriva la notizia di tredici persone fermate di cui poi due arrestate e di alcuni fogli di via dati dalla questura, sotto la quale nella notte si è formato un presidio di solidarietà.
La manifestazione di Udine si inserisce all’interno di una mobilitazione regionale e nazionale intensa. Solo a Trieste, nelle ultime settimane, fra assemblee e cortei le iniziative sono state quasi quotidiane. Mentre la città si preparava al suo consueto programma autunnale di iniziative pubbliche, i cortei hanno portato la questione palestinese nel centro, raccogliendo una partecipazione non comune, in un posto in cui dopo poco si ha la sensazione di conoscere almeno di vista una buona percentuale di chi partecipa ai cortei e ai presidi. Nel caso della mobilitazione per la Palestina sembra essersi mosso anche chi è di solito meno incline a partecipare. In questi ultimi due mesi, in particolare, tante persone hanno percorso le vie centrali in cortei spontanei che nascevano da presidi chiamati anche all’ultimo momento. È stata sconvolta la viabilità e anche la preparazione di un evento come la Barcolana, nato come semplice regata e diventato una vetrina per la città, iniziativa fondamentale per il programma “politico” del sindaco Roberto Dipiazza. In occasione degli scioperi generali si è si è arrivati a bloccare per alcune ore il porto della città, con un varco il 22 settembre e due il 3 ottobre. (alessandro stoppoloni)