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La parola del mese. Confusione
(disegno di ottoeffe)

Che confusione, sarà la marijuana!
Bevo la birra, tutta la settimana.
Stringimi forte e stammi più vicino,
e chi non salta: bastardo celerino
(coro gap – gruppo anti pelè, lokomotiv flegrea)

Mi è capitato, dopo l’ennesimo anniversario della strage di Bologna finito in barzelletta, di vedere una puntata di In Onda, su La7, in cui si parlava dei cosiddetti “anni di piombo” e in cui la confusione regnava totale. Ora, spero di non essere giudicato perché guardo la televisione, e perché mi capita persino di fermarmi – quando voglio studiare i riferimenti culturali più deteriori della borghesia di questo paese – a guardare Telese e Aprile, con l’aggravante che in studio ospite ci fosse pure l’imbalsamato, sempre fastidioso, Paolo Mieli.

Il dibattito – di cui segue una clip, che sconsiglio vivamente – è imbarazzante. Quello che colpisce è la pochezza delle argomentazioni degli ospiti (quello di destra era Mieli e quella di sinistra la Botteri…), incapaci di ribattere ognuno alla tesi dell’altro con una considerazione pertinente. In sostanza, Mieli si doleva del fatto che quando si parla delle stragi fasciste ci si sente in dovere di chiamarle “fasciste”, mentre non lo stesso trattamento viene riservato a quelle “comuniste”.

Guarda lì, guarda là: che confusione!
Guarda lì, guarda là: anche in televisione!
(vasco rossi, cosa succede in città)

La sensazione è che così come quando agli anziani si fa ripetere l’esame della patente con una certa frequenza, a Mieli andrebbe fatto obbligo di ripetere gli esami di Storia dell’Italia contemporanea (anche un ateneo telematico va bene, ché ci sono ormai tanti docenti più preparati che in quelli pubblici). L’altro tema è che Botteri avrebbe potuto rispondere semplicemente che in Italia, negli anni di piombo (Mieli ha fatto più volte riferimento alle Brigate Rosse), i comunisti non hanno mai fatto stragi, o quantomeno non hanno mai fatto stragi di civili che non c’entravano con i propri obiettivi politici, né ancor meno le hanno fatte per destabilizzare subdolamente il sistema democratico che volevano abbattere in ben altri modi (tipo la rivoluzione); o ancora che i fascisti, per fare queste stragi, hanno ben pensato di allearsi con la mafia, i servizi segreti, l’esercito, la massoneria, cosa che non risulta abbiano mai fatto i comunisti.

Mentre Telese e Aprile borbottavano cose senza senso, Botteri ha alimentato la confusione dicendo che: i comunisti armati non erano così tanto comunisti perché uccidevano altri comunisti (resuscita in un colpo solo Telese che bofonchia: «Eh, Guido Rossa…», e Mieli che cita Montanelli); che anche l’elettorato del Pci prendeva in blocco le distanze dalla lotta armata; e che i gruppi neofascisti si richiamavano al fascismo più di quanto non si richiamassero le Brigate Rosse al comunismo. Idiozie a cui anche un bambino di quarta elementare avrebbe potuto controbattere (anche per lei esame da ripetere alla prossima sessione) e infatti Mieli l’ha messa a tacere.

Quando mi capita di vedere certi dinosauri in televisione mi viene sempre in mente la signora Coriandoli, meraviglioso personaggio di Maurizio Ferrini che con Mieli ha sicuramente in comune il cinismo (solo che la signora Coriandoli è una macchietta, Mieli no).

Tra i tanti danni che ha fatto Fabio Fazio alla televisione italiana, gli va dato merito di aver ripescato dal passato piccole perle, come il personaggio della signora che, a Che tempo che fa, racconta ogni sera una storia d’amore tra due anziani della provincia romagnola. Il canovaccio è sempre lo stesso: uomini ultraottantenni che hanno tirato i remi in barca – «Lui noioso! D’un pigro…!», si lamenta sempre lei – che vengono spinti dalle loro mogli a qualche impresa, e che alla fine ci rimettono le penne proprio con la complicità delle proprie metà.

Quando Youtube mi ha proposto una delle storie della signora, quella tra Gina e il suo Tebaldo, mi è venuto di chiedermi se Mieli, che ha resistito agli anni di piombo e a Tangentopoli, al berlusconismo e alla Seconda Repubblica, sarebbe capace di resistere alla signora Gina.

C’è una bella parola inglese, mess, che non corrisponde del tutto all’italiano “confusione” (che in inglese è anche confusion, chaos, noise), ma ci parla di disordine, sbando generalizzato (Everybody was well-dressed, and everybody was a mess), di stupidità (He was a mess! Just some nellie old ribbon counter clerk…) e persino della merda dei cani – senza contare il verbo to mess around con i suoi almeno dieci significati.

In napoletano c’è invece bordello, dal francese burdel, inteso come casa di appuntamenti. Come e più che in italiano, il vocabolo si è esteso al rumore (famme ridere accussì, pe’ nun senti’ ‘o burdello ca ce sta), alla folla (scinne ampress’ mamma mia, ce sta ‘a manifestazione: ‘o burdello, ‘a polizia, ‘o votta-votta, ‘o curdone), a situazioni pericolose (raggia e tarantelle, chello ca te fa caccia’ ‘o curtiello int’o burdello).

A proposito di imprese sportive, anziani iperattivi e bordelli, c’è un passaggio che mi ha molto divertito in un bel romanzo di Steinbeck che ho letto quest’estate. Il libro racconta di una strana e dolce relazione tra un fresco reduce di guerra (Doc) e una impertinente ragazza (Suzy) temporaneamente impiegata come meretrice nel bordello tenuto dalla saggia Fauna, eminenza grigia dell’amore tra i due. Il passaggio ci insegna che non sempre fare del bene è una buona idea e che difficilmente, comunque, ce ne verranno accreditati i meriti.

Un filantropo, un certo Deems, fece omaggio alla città di due campi da roque. […] Non si sarebbe mai detto che una cosa del genere facesse riscaldare gli animi, soprattutto perché i giocatori avevano quasi tutti passato la settantina. E invece fu proprio così. […] Due ottuagenari se ne andavano nella foresta e poi li trovavi impegnati in un combattimento mortale. […] Un Azzurro ebbe la casa bruciata, e un Verde fu trovato nella foresta bastonato a sangue con un bastone da roque. […] I vecchi cominciarono ad andare in giro con i mazzuoli legati al polso, come scuri in battaglia. La città era in preda a una confusione spaventosa. Le cose si erano talmente aggravate che il 30 giugno, giorno della gara, la gente se ne andava in giro con la pistola. […]

Così, la notte del 29 luglio Mr. Deems mando in città una macchina escavatrice. La mattina dopo, dove prima c’erano i campi c’era solo un’enorme buca profonda. […] Lo espulsero a furor di popolo dalla città. Gli avrebbero fatto la cura del dottor Catrame e del dottor Piuma se avessero potuto mettergli le mani addosso, ma lui se ne rimase a Monterey. […] Ogni 30 luglio, ancora oggi, la cittadinanza si riunisce e brucia Mr. Deems in effigie. È una festa vera e propria, fanno un fantoccio di grandezza naturale e lo impiccano a un pino. Poi gli danno fuoco, marciano sotto l’albero con torce e la povera effigie inerme di Mr. Deems va in fumo. C’è gente che dirà che questo racconto è inventato di sana pianta, ma una cosa non è necessariamente una bugia, anche se non è necessariamente accaduta. (john steinbeck, quel fantastico giovedì)

a cura di riccardo rosa

PS: Per scongiurare ulteriore confusione, una precisazione: un paio di giorni dopo, sempre a In Onda, ho assistito a un penoso agguato a Rula Jebreal – altro soggetto su cui ci sarebbe da ridire, che però dal 2023 almeno dice le cose come stanno sulla barbarie israeliana in Palestina. Con quell’agguato, capitanato dalla figlia di Pino Aprile e da una storica molto in voga in televisione – tale Ponzani, una che ha fatto una tesi di dottorato dal titolo L’eredità della Resistenza nell’Italia repubblicana tra retorica celebrativa e contestazione di legittimità, e che non contenta ha pure fatto un film con Veltroni –, si accusava Jebreal di lesa maestà nei confronti di Liliana Segre, perché se lei, ebrea e sopravvissuta al genocidio nazista, dice che quello in atto in Palestina non si deve chiamare genocidio, non la si può pensare diversamente (racconto quest’episodio solo per dire che, dopo questa doppietta, io e g. – come me appassionata del middle-class watching – ci siamo imposti di non guardare mai più questa indecente trasmissione, nemmeno se ci serve come rumore bianco mentre apparecchiamo la tavola).

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