
Il nuovo arrivato era un uomo sui trentatré o trentaquattro anni, cioè un po’ più anziano del compagno. Era di media statura, robustissimo, dalla pelle bianchissima, i lineamenti regolari, gli occhi grigi, astuti, le labbra beffarde, e sottili, indizio di una ferrea volontà. A prima vista si capiva che era un europeo non solo, ma che doveva appartenere a qualche razza meridionale. (emilio salgari, le tigri di mompracem).
È un mese che sulle cronache napoletane e nazionali l’attore Alessandro Preziosi pubblicizza il personaggio da lui interpretato nella serie dedicata a Sandokan andata di recente in onda su Rai 1 (evidentemente di successo, sebbene molto modesta: personalmente ho resistito mezza puntata). Nella fiction Preziosi è il corsaro portoghese Yanez, compagno d’avventure della Tigre della Malesia, e in qualche modo carattere a lui speculare. A mio avviso (non che questo abbia qualche rilevanza) è il personaggio più bello del ciclo di Salgari: freddo, elegante nei modi e nell’aspetto, ironico, prudente, è ingegnoso e astuto, anzi queste ultime due sono probabilmente le sue caratteristiche principali.
Sarà per questo che non c’è intervista (l’ultima è uscita ieri a pagina piena sul Corriere del Mezzogiorno, a cura di Vanni Fondi) in cui Preziosi, che è napoletano, non ci propina la retorica sul partenopeo scaltro e “sfaccimmo”, parola che ripete a oltranza, traducendola quando l’intervista è nazionale a beneficio dei fan italiani. Il cliché riesce in effetti tanto efficacemente che il lettore napoletano per bene può gongolare compostamente, sentendosi anche lui un po’ “sfaccimmo”: anche se odia l’arte di arrangiarsi e disprezza chi si arrangia, chiedendosi perché non va a lavorare invece di truffare il prossimo; anche se a Napoli nessuno usa questa parola per intendere quello che intende Preziosi.
Detto ciò, mi sono chiesto alla terza intervista in un cui si ripeteva questo refrain: ma di napoletani fessi, ce ne sono?
(credits in nota 1)
Non è il caso di trascendere nella trivialità della connotazione femminile della parola di questa settimana, quindi sorvolerei da ora in poi sul napoletano, riportando però almeno il fatto che in francese fesse vuol dire natica, derivando dal latino “findere”, il cui participio si riferisce a qualcosa di “crepato in lungo”, “diviso in due”.
Stando sul più accettabile socialmente, secondo i dizionari, il fesso non è necessariamente uno stupido (può esserlo, ma non necessariamente lo è), quanto colui “che si comporta da stupido”, e questo è un po’ in contraddizione con il meridionale “farsi fare fesso”, che fa riferimento al “farsi raggirare”. Tipo quando io ti dico: vedi che questa cosa che stiamo facendo richiede un sacrificio per un po’ di tempo. Ma poi finirà, è solo temporaneo. Ti restituiremo tutto dopo qualche mese, e oltretutto saremo più ricchi sia io che tu.
Coppa America ogni due anni, team d’accordo. Il Comune di Napoli: pronti a ospitarla anche nel 2029 (repubblica napoli, 27 dicembre 2025)
Avevamo più o meno quindici anni, io e miei amici, quando una professoressa di italiano e latino una mattina alzò un polverone accusandoci di essere maschilisti e sotto sotto fascisti, perché avevamo scritto a caratteri cubitali sul muro della classe un vecchio detto napoletano: “’O barbiere te fa bello, ‘o vino te fa guappo, ‘a femmena te fa fesso!”. Quella professoressa si diceva femminista e di sinistra (la parola comunista già cominciava a diventare fuori moda), ma raramente le abbiamo visto fare un giorno di sciopero, persino quando Berlusconi voleva eliminare l’articolo 18 (non ci riuscì, ma poi ci pensò Renzi), o quando la Moratti completò l’opera di distruzione della scuola pubblica iniziata dal post-comunista Berlinguer junior. Molti di noi fessacchiotti per qualche tempo la considerammo anche una persona autorevole, ma poi capimmo prima di arrivare alla maturità (intesa come diploma). A volte penso che sarebbe bello tornare a essere così ingenui.
(credits in nota 2)
a cura di riccardo rosa
Ps.: A proposito di Coppa America, bradisismi, palazzi che crollano e territori sotto attacco, consiglio la lettura di questo breve testo scritto ieri dagli attivisti dell’Assemblea Popolare di Bagnoli e pubblicato attraverso i canali di Villa Medusa (entrambe le realtà fanno parte della Rete No America’s Cup).
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¹ Totò ed Ernesto Calindri in: Totòtruffa 62, di Camillo Mastrocinque (1961)
² Massimo Troisi e Pippo Baudo in Fantastico (1990)

