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La parola della settimana. Ingenuo
(disegno di ottoeffe)

Credi davvero
che sia sincero
quando ti parlo di me? 
Credi davvero 
che mi spoglio
di ogni orgoglio davanti a te? 
Non credi di essere un po’ ingenuo?
Non credi di essere rimasto un po’ indietro? 
Non ti fidare mai:
non sono gli uomini a tradire ma i loro guai. 
(vasco rossi, credi davvero)

“Quando ero più giovane e ingenuo” è uno dei miei incipit preferiti. Forse perché non mi dispiace invecchiare, né considerarmi sempre più furbo e scaltro con il passare del tempo (già a quindici anni, a dire il vero, pensavo di essere più sveglio degli altri).

Quando ero più giovane e ingenuo, dicevo, pensavo che non potessero esistere persone omosessuali di destra. Credevo che se uno fa parte di un gruppo sociale, di una minoranza etnica, di una qualsiasi collettività che viene discriminata per il suo modo di essere, per la propria religione, per il proprio orientamento sessuale, subendo una limitazione di diritti da parte delle classi dominanti, non può che avere come obiettivo il rovesciamento della società che lo discrimina, l’abbattimento del potere, la costruzione di un mondo più giusto.

Invece può accadere che neri d’America votino Trump; che i percettori di reddito di cittadinanza votino una che gli dice che glielo toglierà; che operai si astengano dal votare a un referendum che vuole abolire una parte delle leggi che ne limitano i diritti; che il gay pride venga sponsorizzato dalle multinazionali che fondano la propria ricchezza sulla divisione del mondo tra oppressori e oppressi; che il presidente dell’Arcigay e di una sezione dell’Associazione Partigiani (al secolo Antonello Sannino) partecipi a iniziative governative in un paese che sta sterminando una popolazione da quasi due anni, e che ci venga pure a dire di come gli israeliani sono bravi perché rispettano i diritti civili, o che alcuni di loro non condividono questo genocidio.

Le recenti notizie relative alla partecipazione di esponenti del movimento LGBTQ+ italiano a iniziative promosse dallo stato d’Israele hanno scosso Arcigay Nazionale, che si è detta “non al corrente”, sottolineando come coloro che sono rimasti bloccati a Tel Aviv e che hanno preso parte a tali iniziative “lo hanno fatto a titolo personale”. Nel suo comunicato ha parlato di azioni “in contrasto con la linea politica di Arcigay su quanto sta accadendo in Medio Oriente”. Anche dalla più grande organizzazione LGTBIAQ+ italiana, dunque, giunge la condanna alla “sistematica strategia del rainbow washing” messa in atto dalle autorità israeliane, ribadendo la “narrazione tossica” fatta negli anni dal governo israeliano. “Arcigay rigetta con fermezza l’idea che la battaglia per i diritti LGBTQIA+ possa essere strumentalizzata per legittimare politiche belliche, aggressioni unilaterali o campagne di regime change”, stigmatizzando il coinvolgimento di attivisti e organizzazioni internazionali che prestano il fianco a tali narrazioni. (emanuela longo, gay.it)

Conosco il presidente di Arcigay Napoli da molti anni. Non che l’abbia mai frequentato, ma incrociato spesso nell’ambito della sua carriera politica, sì. Ero già meno ingenuo, quando l’ho conosciuto, da potermi accorgere che si tratta di un uomo di destra, molto interessato al potere e alla legittimazione politica del potere. È stato un fedelissimo, e amico, dell’ex sindaco de Magistris, che ha celebrato il matrimonio tra Sannino e il suo compagno condendo l’iniziativa con la sua solita retorica populista (per tirare la volata al primo cittadino alle elezioni del 2016, tra l’altro, Sannino organizzò a pochi giorni dal voto un imbarazzante pride a Bagnoli, insieme al peggio del terzo settore cittadino, strumentalizzando le lotte territoriali e tutto quello che poteva strumentalizzare, raggranellando alla fine appena trecento voti). Attualmente è in fase di cambio casacca: ha ottimi rapporti con i pezzi grossi napoletani dei Cinque Stelle (su tutti la parlamentare Gilda Sportiello e il futuro presidente della regione Roberto Fico), con il sindaco e la segretaria del Pd Elly Schlein, e ha partecipato alla piazza per il riarmo dell’Europa il 15 marzo a Roma. È notoriamente insensibile, o cieco, rispetto alla politica coloniale e fascista dello stato di Israele, di cui è un esplicito supporter.

“Ma se questo viene dalle favelas, perché sostiene un fascista che odia i neri e se potesse li sterminerebbe?”, mi chiedevo fino a un po’ di tempo fa ogni qual volta un Neymar, un Rivaldo o un Ronaldinho pronunciava un endorsement per l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Qualcosa di simile sta succedendo oggi in Argentina, dove un brutto colpo me l’aveva già rifilato el Titan Martin Palermo, sostenitore e amico del presidente Milei. Il governo sta infatti lavorando a una mega riforma del calcio nazionale, che prevede tra le altre cose l’eliminazione di ciò che resta dell’istituto giuridico per cui le società di calcio, anche professioniste, possono avere forma di una cooperativa popolare fortemente improntata ad attività sociali.

Sponsor di questa operazione è Juan Sebastian Veron (ex Lazio, Inter, Chelsea e Manchester United), presidente dell’Estudiantes di La Plata e personaggio assai chiacchierato in patria, legato a grandi gruppi economici canadesi e statunitensi. Dall’altra parte, a tutelare quel che fu della mia ingenuità e a opporsi alla riforma, c’è Juan Ramon Riquelme, bandiera del Boca Juniors persino più di Maradona, attuale presidente che ha di recente fronteggiato la polizia in curva, durante una partita di campionato, per fermare gli scontri tra gli agenti e i suoi tifosi. Lasciatemi pensare che tutto questo c’entri col fatto che Veron è figlio di miliardari (il padre era un calciatore) e Riquelme nasce invece come un poveraccio, in una famiglia da undici figli in un sobborgo di Buenos Aires.

Non è territorio per ingenui il processo penale, come è apparso evidente questa settimana, durante le udienze che hanno portato alla sbarra tre uomini palestinesi a L’Aquila (l’intera vicenda è ben ricostruita sull’ultimo numero de Lo stato delle città): il primo reo di supportare logisticamente un gruppo di partigiani che combatte conto l’occupante israeliano in Cisgiordania; gli altri solo, di fatto, di essere suoi amici.

Eppure la cosa più divertente è quando gli avvocati fanno i finti ingenui per far dire le cose ai testimoni e gli imputati, come hanno fatto nel caso specifico i due della difesa – Rossi Albertini e Formoso – smascherando la superficialità delle indagini della polizia italiana, che (a un occhio poco ingenuo) sembra aver lavorato su commissione di una potenza straniera – lo stato di Israele, che di Anan Yaesh aveva chiesto invano l’estradizione.

Avv.: Ispettore lei sa se in Cisgiordania ci sono altri gruppi armati?
Silenzio.

Avv.: Sa se ci sono formazioni che operano sul territorio, che posizioni politiche hanno, che rapporti con la popolazione?
Silenzio.

Avv.: Sa i nomi dei comandanti, su quanti militanti possono contare, quali sono le gerarchie?
Teste: Non posso rispondere.
Avv.: Non può rispondere o non lo sa?
Teste: Il mio compito su questo materiale era quello di…
Avv.: Non le ho chiesto quale era il suo compito, mi risponde sì o no?
Teste: No.

The less we say about it the better / Meno ne parliamo meglio è.Make it up as we go along: / Ce lo inventeremo strada facendo: feet on the ground, head in the sky / piedi per terra, testa in aria.It’s okay, I know nothing’s wrong, nothing / Tutto ok, so che non c’è niente di male… niente.
[talkin heads, this must be the place (naive melody) / deve essere questo il posto (motivetto ingenuo)]

a cura di riccardo rosa

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