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La parola della settimana. Scudo
(disegno di ottoeffe)

La parola “scudo” viene dal latino scutum, in riferimento al cosiddetto scudo oblungo, elemento difensivo “con una nervatura centrale lignea di rinforzo, detta ‘spina’, dal materiale organico, derivato da più antichi modelli micenei e utilizzato dall’esercito romano ma anche da bande guerriere”. A parte alcune rare eccezioni, non è stato più usato in battaglia fin dall’introduzione delle armi da fuoco. Una di queste eccezioni è il “targe scozzese”, piccolo scudo in legno, cuoio e metallo, utilizzato fino al 1700 e capace di difendere anche dai proiettili dell’epoca.

Per anni allo United sono entrato in campo per difendere, da mediano o centrale, ma il mio istinto è offensivo. Il mio punto di forza è buttarmi in area, segnare, creare pericoli. (scott mc tominay)

(credits in nota1)

Lo scudo può avere forme diverse: c’è lo “scudo normanno”, triangolare, con la punta in basso; lo “scudo gotico antico”, con i fianchi ricurvi; il “gotico moderno”, con la parte inferiore arrotondata; lo “scudo inglese” o “da torneo”, che riproduce il modello di “targe” di cui sopra. In araldica lo scudetto è la struttura di legno su cui vengono disegnate figure e simboli. In battaglia poteva capitare di veder sventolare i simboli nemici, capovolti, per evidenziare la loro disfatta o resa.

(curva b, scudetto 2023)

Nel linguaggio sportivo, lo “scudetto” è un piccolo scudo tricolore che viene cucito sulla maglia degli atleti campioni d’Italia, nel calcio ma anche in altri sport di squadra. La sua introduzione risale alla stagione 1924-25, anche se nel 1930, e per tredici anni, Mussolini impose l’apposizione del fascio littorio sul petto dei campioni in carica. Lo scudetto fu contestualmente retrocesso a simbolo della vittoria in Coppa Italia, fino a quando non tornò in palio, con la ripresa dei campionati nell’ottobre 1945 (al termine della stagione fu assegnato al Torino ma privo dello stemma sabaudo, nonostante al referendum che decretava la fine della monarchia mancasse ancora quasi un anno).

Per quelli innamorati come noi,

per quelli che non ti han tradito mai,

magico Napoli, torna campion:

cuci sul petto un’altra volta il tricolor!

(coro ultras napoli sulle note de i maschi, di gianna nannini)

Quando ero bambino mi ci è voluto un po’ per capire che non a tutte le squadre vincitrici nel mondo di un campionato spettasse lo scudo tricolore. In Germania il premio per la vittoria è il Meisterschale, il “piatto dei campioni”, dal peso di cinque chili e mezzo e dal valore di venticinquemila euro circa; in Francia il capitano della squadra vincente alza al cielo il meno pregiato Hexagoal, trofeo minimalista, in alluminio spazzolato con innesti dorati. In Inghilterra, la coppa in palio tra il vincitore del campionato e della FA Cup si chiama Community Shield (“lo scudo della comunità”). Il suo nome era prima Charity Shield (“scudo della beneficenza”) ma nel 2002 la Charity Commission inglese scoprì che la federazione calcistica si era intascata i soldi che avrebbe dovuto devolvere per opere di bene e ne impose il cambiamento. Quest’anno per conquistarselo si sfideranno il Liverpool e il Crystal Palace, squadra del brutto sobborgo operaio di Croydon, che si chiama così perché fu fondata, seppure non ancora ufficialmente, dagli operai dell’omonima struttura costruita per l’Esposizione Universale di Londra, nel 1851.

(credits in nota2)

Uno dei momenti più emozionanti della premiazione del Napoli campione venerdì sera è stato quando sul maxischermo è comparsa la mano di un incisore che calcava sulla coppa scudetto il nome della mia squadra. Mi sono guardato intorno e ho visto gente piangere, altra telefonare alla propria moglie, altra consumare sostanze (va detto che all’intervallo della partita i bar della curva avevano già tutti esaurito le scorte di birra). Al fischio finale di Napoli-Fiorentina del 10 maggio 1987, intervistato da Giampiero Galeazzi, Maradona disse che la vittoria di quello scudetto valeva persino più del Mondiale che aveva vinto un anno prima, perché quella vittoria era avvenuta “a casa mia”. È bello che oggi quella casa porti il suo nome, e fa riflettere (forse fa riflettere solo me) che da quando gli è stata intitolata, il Napoli abbia vinto due scudetti e una Coppa Italia.

Insieme a un paio di amici con cui abbiamo visto la partita-scudetto al Maradona, riflettevamo, durante la cerimonia di premiazione, su quanto a volte la vita possa essere ingiusta, sulla potenza del caso e delle sue sliding doors, e su quanto sia importante trovarsi al posto giusto al momento giusto. Non che avessimo la forza per teorizzare, ma qualcosa del tipo: 

A: Scudetti vinti da Zico?

B: Zero!

A: E da Ronaldo?

B: Zero!

A: Mmmm… da KrollHamsik? Cavani?

B: Zero!

A: Scudetti vinti da Okafor?

B: Uno!

A: E da RafaMarin?

B: Uno!

A: Juan Jesus?

B: Due…

.
PS. Una menzione speciale sento il dovere di farla allo steward che in queste ore sta rischiando il suo precario posto di lavoro, perché ripreso dai soliti invadenti videoamatori mentre si disinteressa di una piccola folla che a pochi passi da lui scavalca i cancelli dello stadio, per entrare in curva utilizzando il biglietto di un altro settore. Buona fortuna amico mio, questo scudetto è anche tuo. (a cura di riccardo rosa)

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¹ Da: Braveheart. Cuore impavido, di Mel Gibson (1995)

² Operai inglesi smantellano il Crystal Palace. Cinegiornale a cura del British Pathé.

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