Lavoro e non lavoro in una città sotto attacco. Primo maggio di lotta a Napoli

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Lavoro e non lavoro in una città sotto attacco. Primo maggio di lotta a Napoli
(disegno di blu)

«Tanti tra noi sono nati e vivono in questo quartiere. Ne conosciamo bene le problematiche». A parlare è Antonio Silione, del movimento Disoccupati 7 Novembre e del Comitato San Gennaro. «Abbiamo voluto che il corteo del primo maggio partisse dal rione Sanità per dei motivi concreti: qui di fronte si trova l’ospedale San Gennaro, un presidio che offriva servizi sanitari essenziali a decine di migliaia di abitanti della zona, chiuso nel 2017. A pochi passi c’è anche il parco San Gennaro: circa sei ettari di foresta mediterranea, inaccessibile da anni. Tutto questo in un quartiere storicamente popolare, oggi invaso da turisti e b&b, l’unico modello di “lavoro” su cui si punta».

Numerosi anche quest’anno sono stati gli appuntamenti promossi da collettivi, movimenti e sindacati in occasione del primo maggio a Napoli. Il primo è stato il corteo partito intorno alle dieci dall’ospedale del popolare quartiere del centro. La scelta di far partire il corteo dalla Sanità è legata alla necessità di attraversare luoghi dove l’impatto della mancanza di lavoro e di servizi si sente maggiormente, elemento che lega tra loro la moltitudine di istanze differenti che hanno caratterizzato questo corteo. La composizione infatti era piuttosto eterogenea: disoccupate e disoccupati del Movimento 7 Novembre, lavoratrici e lavoratori di diversi settori – dalla logistica ai servizi – per lo più aderenti al sindacato Si Cobas, insieme a numerosi collettivi studenteschi. Presenti anche gruppi solidali con la resistenza del popolo palestinese, la rete Liberi/e di lottare contro guerra e decreto sicurezza, i comitati per l’ospedale e il parco San Gennaro, i lavoratori precari della ricerca accademica, che hanno promosso una giornata di sciopero nazionale prevista per il 12 maggio.

Il corteo ha raccolto circa cinquecento persone, mettendo in connessione le differenti questioni: dalle istanze legate al mondo del lavoro – disoccupazione, sfruttamento, precarietà, lavoro nero, morti bianche – a quelle contro riarmo, guerra e repressione, fino alla riappropriazione dello spazio urbano e la necessità di interventi decisi contro caro-vita e caro-affitti.

Per alcune ore ha sfilato tra le strade del quartiere, tra interventi al megafono e cori. La manifestazione si è conclusa in vico Arena alla Sanità, dove all’interno di un edificio utilizzato fino a qualche anno fa dall’azienda cittadina per la raccolta dei rifiuti vi è oggi la sede del movimento dei disoccupati organizzati. Al corteo non hanno potuto partecipare alcuni attivisti del centro culturale Handala Ali, che fin dalle prime ore del mattino si erano recati al Vomero, per esporre uno striscione sulla terrazza di Castel Sant’Elmo con la scritta “Libertà per Anan”, in riferimento alla detenzione nel carcere di Terni di Anan Yaeesh, cittadino palestinese residente da anni in Italia, e arrestato su esplicita richiesta del governo israeliano. Le forze dell’ordine hanno fatto a lungo pressione su attiviste e attivisti, i quali solo dopo alcune ore sono riusciti a compiere l’azione.

Un secondo corteo è partito nel pomeriggio, alle quattro, da piazza San Domenico Maggiore, dietro uno striscione contro sfruttamento e precarietà lavorativa. Il corteo era organizzato da Potere al Popolo, dagli attivisti dell’ex Opg e del Movimento migranti e rifugiati, dal sindacato di base Usb e dalla Rete dei comunisti. La “passeggiata rumorosa” rivendicava esplicitamente come obiettivo un salario minimo di almeno dieci euro all’ora, una maggiore sicurezza sul lavoro e la riduzione del numero di ore quotidiane, tutele e investimenti nel welfare anziché nella guerra.

Il corteo ha attraversato Spaccanapoli, via San Sebastiano, i Tribunali, San Gregorio Armeno, arrestandosi in più punti per permettere ai partecipanti di ribattezzare le strade con fogli che portano i nomi di chi è morto sul lavoro: Yassin Boussena, per esempio, ragazzo di soli diciassette anni che ha perso la vita mentre lavorava in un’azienda di smaltimento del legno; Patrizio Spasiano, diciannovenne, tirocinante morto a causa di una fuga di ammoniaca da cui non è riuscito a mettersi in salvo, perché si trovava sopra un’impalcatura; Nicolò Giacolone, trentaduenne travolto da un autogru; Luana D’Orazio, operaia tessile di ventidue anni, stritolata da un macchinario a Montemurlo. I loro nomi sono stati affissi proprio nei tratti più affollati dal passeggio turistico, tra pizzerie, trattorie e insegne colorate, sottolineando che in molti casi i procedimenti giudiziari nei confronti degli imprenditori e delle aziende responsabili per questo genere di decessi, non trovano seguito adeguato.

In momenti come questi, fa effetto guardare la città che osserva. Dai bar ancora aperti i lavoratori spesso si affacciavano verso il corteo: qualcuno in silenzio, altri facendo un cenno d’intesa. Alcuni turisti scattavano foto, incuriositi, mentre i manifestanti gridavano che “il turismo non ci piace se ci toglie via le case”. Parecchi tra gli ambulanti, applaudivano intanto dalle loro bancarelle.

Il corteo si è ricomposto dopo qualche ora a piazza San Domenico, dove la protesta si è chiusa con la lettura di alcune testimonianze scritte: lavoratori e lavoratrici impiegati per “giorni di prova” mai retribuiti, altre licenziate dopo anni di servizio perché incinte. Sono queste voci a chiudere una giornata che, in una città trasformata in vetrina, ha voluto ridare visibilità a chi lavora troppo, guadagna poco e muore dimenticato. (serena bruno e flora molettieri)

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