Le priorità della lotta. Un mese di scioperi nella logistica

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Le priorità della lotta. Un mese di scioperi nella logistica
(archivio disegni napolimonitor)

Genova, 21 ottobre. Le mobilitazioni che hanno attraversato il paese nelle ultime settimane, portando in piazza centinaia di migliaia di studenti e lavoratori, preparano il terreno a un grande sciopero contro la legge finanziaria del governo. Negli ambienti del sindacalismo di base si discute delle prossime iniziative, e a Genova, città portuale che ha contribuito significativamente a polarizzare durante l’inizio dell’autunno il fenomeno dei blocchi della produzione e delle arterie metropolitane, c’è agitazione nei magazzini della logistica. In arrivo ci sono il “black friday” e il picco natalizio.

Un gruppo di lavoratori iscritti al Si Cobas si riunisce in assemblea. Nel magazzino di Cornigliano della Bartolini, periferia ovest del capoluogo ligure, lavorano circa duecento facchini assunti dalla Alba Srl, la metà dei quali sono attivi a livello sindacale. Nei periodi di incremento del lavoro, come quelli compresi tra novembre a gennaio, si registra un continuo ricambio della manodopera, con il via vai di lavoratori delle agenzie interinali. I diritti conquistati negli anni dagli operai attraverso gli accordi sindacali, a loro sembrano non spettare.

Così, dopo lo sciopero, i lavoratori di Cornigliano chiedono che al tavolo di trattativa per il rinnovo del Premio di risultato annuale si discuta anche della stabilizzazione dei precari. Lo stato di agitazione sentenzia che qualsiasi accordo sul premio dovrà essere garantito “anche ai nuovi”.

L’astensione dal lavoro inizia la notte tra il 4 e il 5 novembre, ma i lavoratori presidiano i cancelli di via Fratelli di Coronata fino al primo pomeriggio. All’alba dell’11 inizia un presidio che si protrarrà per venti ore. «In quel magazzino – spiegano i delegati sindacali – c’è un accordo firmato, che va rispettato. Chi si spacca la schiena scaricando camion per diciotto mesi ha diritto alla priorità di assunzione». Bartolini e la società in appalto però, in risposta al blocco, riorganizzano i volumi e firmano in gran segreto un accordo con Cgil, Cisl e Uil per il taglio al premio di duemila euro che era stato ottenuto proprio dal Si Cobas negli anni addietro.

La merce viene intanto spostata verso altri hub nel milanese e nel torinese e così, a pochi giorni dalle festività natalizie, per i lavoratori interinali nella filiale “002” non c’è più lavoro. Per loro, e per altri quaranta operai del sindacato, viene stabilito un piano di ferie forzate. La serrata è alle porte. La lotta dei lavoratori per le nuove assunzioni, per l’aumento del premio natalizio correlato all’aumento del lavoro (e alla possibilità di fronteggiare le spese di fine anno con un aumento minimo in proporzione alla perdita del potere di acquisto delle famiglie), si appresta a trasformarsi in lotta per la difesa del posto di lavoro. La minaccia esplicita è quella della cassa integrazione.

Milano, 28 novembre. Sono le sette del mattino. Al bancone del bar che chiude via Dante Alghieri, a Pioltello, si affollano decine di lavoratori dell’hinterland milanese per consumare la colazione al caldo, prima di immergersi nella nebbia fittissima che coprirà per tutta la mattina la visuale sull’arteria logistica più trafficata dell’area. A pochi passi ci sono gli uffici doganali e i terminal di DSV, a sinistra il magazzino di stoccaggio e scarico merci di Logtainer. Due grossi cancelli, a poche centinaia di metri di distanza uno dall’altro, segnalano l’entrata e l’uscita dei mezzi pesanti su gomma delle due società specializzate nel trasporto merci intermodale.

Le bandiere in spalla agli operai del Si Cobas, e un grande vessillo che recita “Embargo, ora!”, sostenuto da un’attivista dei Giovani Palestinesi d’Italia, riempiono improvvisamente lo stradone. Mentre gli operai legano le bandiere, già posizionati al primo cancello, un addetto alla sicurezza, dal vetro del suo gabbiotto, fa un cenno all’agente della guardia di finanza addetto al controllo doganale. Prima che gli operai abbiano avuto il tempo di spegnere la sigaretta che segue al caffè, i due cancelli si chiudono. Inizia lo sciopero generale proclamato dai sindacati di base contro la Finanziaria 2026, contro il riarmo europeo e il cosiddetto “piano di pace” nella Striscia di Gaza.

Il picchetto a Pioltello ha l’obiettivo di bloccare la logistica di guerra in uno snodo strategico della pianura padana: dai terminal dell’interporto milanese, la società DSV, tra le tre compagnie di spedizione più influenti al mondo, e la Logtainer, che nel 2025 ha puntato i suoi investimenti sul trasporto merci ferroviario, fanno partire ogni giorno centinaia di container targati Maersk verso i porti di Genova, La Spezia, Livorno, per gli interporti di Rubiera e Padova, e l’aeroporto di Milano Malpensa. Dalla fila di camion che si allunga fino allo svincolo dell’autostrada si nota che molti carichi su gomma arrivano dall’estero. Per gli organizzatori del picchetto, “sotto l’apparente routine della movimentazione ordinaria di merci, si nascondono i flussi di materiale bellico destinati all’industria militare”.

A denunciare l’opposizione alla guerra ci sono decine di lavoratori dei magazzini di Sda e Poste italiane. Sono stati proprio loro, nell’ultima settimana, a siglare un accordo-quadro provinciale che in parte sopperisce alle problematiche legate ai picchi di lavoro intensivi. «A Milano ci sarà qualche piccolo nuovo impianto dove gestire il surplus della merce. Grazie a questo accordo qualcuno potrà decidere di lavorare lì, con un’indennità di dieci euro al giorno, anche se la distanza dal magazzino attuale è minima», spiega un driver. L’accordo prevede anche altri aumenti salariali che verranno effettuati con gradualità entro il febbraio 2026. I lavoratori rivendicano il risultato della loro lotta, soprattutto perché le nuove introduzioni salariali non saranno legate a maggiori e più dure prestazioni di lavoro.

In contrasto con le rivendicazioni operaie, e con il tema della riduzione dell’orario di lavoro, si configura però la bozza di proposta di Legge di bilancio 2026, che assoggetta le agevolazioni fiscali per i lavoratori dipendenti a modelli di produttività più flessibili e intensi. In riferimento ai premi di risultato, la bozza di legge presume una riduzione delle tasse tra il cinque e l’uno per cento su un premio massimale di cinquemila euro annui. In cambio di prestazioni usuranti come lavoro notturno, festivo e straordinario, la tassazione verrà ridotta al quindici per cento sul massimale di mille e cinquecento euro annui, con un recupero del potere di acquisto di appena centoventi euro.

Sono le tre del pomeriggio quando la nebbia lascia spazio a qualche raggio di sole che batte sull’asfalto. Qualcuno tra i camionisti in coda ha spento il motore, altri giurano di non stare trasportando “neanche un proiettile” e vengono invitati dai manifestanti a bere un caffè e a partecipare a un’assemblea sul posto. I lavoratori prendono la parola, si rivolgono a colleghi che non conoscono, provano a spiegare che lo sfruttamento nella logistica non è un ricordo del passato, ma uno spettro sempre in agguato, come testimoniano i fatti di Genova: «Quelli che fanno gli scioperi continuano a rischiare i licenziamenti, perché le condizioni stanno peggiorando e il tema della guerra c’entra molto con questo peggioramento. È con le nostre tasse che si possono comprare le armi, ma non è con qualche sconto che possono comprarsi il nostro sudore».

Passano più o meno ventiquattr’ore e nel pomeriggio di sabato, sempre a Milano, sfila una grande manifestazione indetta dalle realtà palestinesi. I lavoratori della logistica sono presenti al concentramento di piazza 24 Maggio. Il corteo avanza verso piazza Fontana, dove prendono parola gli operai di Bartolini “002”, spiegando ai colleghi delle altre regioni e di altre filiere la propria preoccupazione. Dopo un’iniziativa al comune di Genova, le istituzioni e la dirigenza della Fedit, la Federazione italiana trasportatori, hanno promesso un incontro per risolvere la vertenza. «Rischiamo la cassa integrazione per aver scioperato, rivendicando l’assunzione dei nostri colleghi, ma in questo fine settimana abbiamo voluto comunque presidiare i cancelli della fabbrica. Siamo pronti a mettere le tende!», urla uno di loro tra gli applausi.

La difficile lotta, tutta in salita, dei facchini del genovese, è in connessione non solo con le complicate vertenze in atto da Torino a Napoli, ma anche con le vittorie, come quella ottenuta dai lavoratori di Sda a Milano. Le radici dei conflitti, certo, sono diverse, ma a emergere è un obiettivo comune: superare le dinamiche di una stantia contrattazione sindacale, quella sui bonus di Natale, per mettere al centro i temi delle condizioni di lavoro, la necessità di nuove assunzioni, gli aumenti salariali per tutti. (alessandra mincone)

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