Mille e duecento posti per i disoccupati napoletani. “Finisce qua” la lotta per il lavoro?

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Mille e duecento posti per i disoccupati napoletani. “Finisce qua” la lotta per il lavoro?
(foto del movimento disoccupati 7 novembre)

Chissà se quando il dirigente della Digos saluta i manifestanti con il canonico: «Finisce qua?», si rende conto dell’allegoria prodotta. È martedì mattina, siamo all’esterno della sede Rai di Napoli, dove il Movimento disoccupati 7 Novembre ha organizzato una conferenza stampa per rivendicare il recente avvio di un percorso di tirocinio finalizzato all’inserimento lavorativo, ottenuto dopo oltre dieci anni di lotte.

Sono le dieci e trenta, la conferenza è finita da poco e il gruppo si sta lentamente sciogliendo. La domanda del poliziotto è quella che fanno di solito gli agenti al termine di una manifestazione, per assicurarsi che questa non continui altrove o che non vi siano altre azioni in continuità con quella conclusa. In quel contesto, mentre il movimento celebra quella che è una innegabile vittoria, e in un certo senso la conclusione di un percorso politico decennale, la sua domanda potrebbe risuonare come una sorta di invito a darsi una calmata: “Il posto l’avete avuto: ora avete finito?”.

In realtà, le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni dai delegati del movimento, vanno nella direzione opposta. Per prima cosa, dicono, bisogna continuare a vigilare, e se necessario a fare pressione, affinché tutti i mille e duecento tirocini comincino; secondo, è importante che gli impegni presi riguardo alla trasformazione in un lavoro stabile e dignitoso di questi tirocini vengano rispettati; terzo, nel movimento c’è già chi pensa che la lotta per il lavoro debba mutarsi ora in lotta sindacale, per un mantenimento e miglioramento delle condizioni e dei diritti.

Il Movimento disoccupati 7 novembre nasce undici anni fa, dopo che un gruppo di abitanti delle periferie a ovest della città partecipa alla grande manifestazione di Bagnoli contro lo Sblocca Italia e il commissariamento dell’ex area industriale. Col tempo il gruppo cresce, arriva a raccogliere circa quattrocento iscritti da diversi quartieri e si “federa” con un’altra grossa lista di lotta per il lavoro, il Cantiere 167 di Scampia. Centinaia di persone sono in strada quotidianamente, pretendono la garanzia di un diritto costituzionale, e manifestano, presidiano, occupano, arrivano a forme di scontro radicale per ottenerla. Gli anni passano, si creano opportunità, ci sono inganni e tradimenti istituzionali, ogni volta si ricomincia daccapo. Le inchieste giudiziarie si moltiplicano, le accuse sono spesso assurde, arrivano anche condanne, pesantissime. Eppure oggi il prefetto, che evidentemente ha la memoria corta, parla di “proteste garbate”, e nelle prime righe del recente accordo firmato da comune e governo ammette che il movimento ha rappresentato un problema di ordine pubblico, perché queste centinaia di persone non facevano altro che rivendicare un proprio diritto.

Alla fine, dopo undici anni di lotta, l’accordo arriva. Mille e duecento disoccupati napoletani verranno impiegati per la cura e la manutenzione del verde pubblico e scolastico, la sorveglianza delle strutture museali, altri interventi di pubblica utilità. I primi cominceranno a breve, gli ultimi saranno chiamati entro febbraio. Dopo un anno si comincerà a pianificare la loro assunzione in cooperative comunali che si occupano di questo stesso genere di interventi. L’investimento complessivo è di circa tredici milioni di euro. «La nostra intenzione – ha spiegato il sindaco Manfredi – è quella di far progressivamente transitare queste persone all’interno delle cooperative che operano al Comune e Città metropolitana, che noi utilizziamo per la gestione del verde pubblico. Queste cooperative oggi vivono una riduzione dei partecipanti per i pensionamenti, ma l’obiettivo è quello di mantenere immutata la loro dimensione numerica». Questo scenario fino a qualche anno fa non sembrava nemmeno lontanamente ipotizzabile, considerando le resistenze delle stesse istituzioni che oggi rivendicano il risultato, che si è invece delineato soprattutto grazie agli sforzi del movimento. 

Al termine della conferenza abbiamo fatto alcune domande a Eduardo Sorge, uno dei portavoce dei 7 Novembre, chiedendogli se davvero, come sottintendeva forse l’ispettore della Digos, la loro lotta è finita qua. (riccardo rosa)

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«Al netto della forza della lotta, dell’incessante lavoro di mobilitazione e di piazza, negli ultimi due anni c’è stata un’attenzione trasversale su questa vertenza, perché si potesse concretizzare un risultato in questa direzione. Dal punto di vista prefettizio c’è stato e c’è l’interesse a pacificare una delle poche aree che rompeva e speriamo rompa l’immagine della Napoli città-vetrina, per cui in un momento in cui Napoli sta diventando un parco giochi, una delle loro valutazioni è stata che forse non era il caso di continuare ad alzare muri verso una lotta che coinvolgeva un migliaio di persone, le quali tra l’altro andranno a svolgere un’attività che va a colmare un vuoto di servizi. Dal canto nostro, sappiamo che anche questo intervento sui servizi è finalizzato a supportare una città che si prepara ad accogliere flussi turistici ancora più imponenti di quelli attuali, e insomma il ragionamento istituzionale è stato che conviene anche a loro che una serie di persone piuttosto che stare a bloccare le strade vadano a garantire quello che considerano “decoro urbano”, a potenziare l’accoglienza museale o migliorare i servizi scolastici.

«Le cooperative dove si andranno a svolgere questi tirocini sono le stesse dove i disoccupati hanno svolto gli stage in una fase precedente, con il piano Gol, sono cooperative attualmente finanziate da un investimento nazionale di decine di milioni di euro, soldi che vanno nelle casse del comune che li gestisce. Quindi l’amministrazione per questo servizio non investe risorse, seppure per l’allargamento della platea ha contribuito con una quota. Di questa platea di mille e duecento persone noi possiamo dire di rappresentarne circa la metà, ma ci sono state spinte, per esempio durante la campagna elettorale delle regionali, con interessi di parte molto lontani da noi, per frammentarla; il vantaggio di essere riusciti a mantenere compatto il movimento, sta nel fatto che questo risultato non potrà essere merce di scambio, non saremo disponibili a essere strumentalizzati. Negli ultimi mesi, soprattutto i partiti di governo, hanno provato a candidarsi come “rappresentanti” di questa vertenza. Da questo punto di vista, riuscire a garantire risultati per tutta la platea, e non soltanto per i nostri iscritti, è stato decisivo. Anche il fatto che ventiquattr’ore prima di questo risultato siano arrivate condanne di due anni e due mesi per otto esponenti del Movimento è un modo per dire “ok, vi siete presi quello che volevate, ora però non rompete le scatole su tutto il resto”. Ma se è vero che il movimento è nato per il lavoro, è anche vero che è sempre stato nelle battaglie politiche generali – contro il riarmo, contro la guerra, per l’unità dei lavoratori; e rispetto alla città, nella denuncia della privatizzazione del verde cittadino e di tutte le operazioni che si stanno svolgendo sulla costa, da San Giovanni a Bagnoli, e quindi continuerà ad alimentare le lotte territoriali.

«Quando si fa un bilancio politico, tutto va inquadrato nel momento storico. Da un certo punto di vista è una vittoria gigantesca, non tanto per il risultato, ma per la rete che si è costruita tra la gente, i quartieri popolari, l’unità anche con chi, come il Cantiere 167, politicamente non era vicinissimo a noi. Forse se trent’anni fa avessimo raccontato questa vertenza non avremmo parlato di vittoria, avremmo parlato di un’elemosina di Stato fatta per risolvere un problema di ordine pubblico, ma io credo che tutto vada inquadrato in un contesto, e in quello attuale gli operai e i lavoratori prendono sempre meno salario, sono sempre più sfruttati, hanno sempre meno diritti sindacali. Siamo in un momento di arretramento a oltranza, e il fatto che si ottenga un risultato per mille e duecento persone, che non è solo il tirocinio, ma è qualcosa che darà la possibilità dopo dodici mesi di entrare nelle cooperative, significa non solo dare a chi ha cinquanta o sessant’anni una dignità personale, ma anche per diverse centinaia di ragazzi di venticinque-trent’anni di avere un’alternativa a fare il rider sotto la pioggia, oppure a fare i servizi nei b&b di cui Napoli è piena.

«Questo io credo sia il grande valore politico: la lotta ha pagato, e questo, in un momento in cui c’è una disillusione totale verso le pratiche collettive di organizzazione, è la cosa più importante. Molti di quelli che ieri erano bassa manovalanza della criminalità o erano nella totale marginalità sociale, adesso fanno i corsi nelle loro sedi, nei quartieri popolari, con i bambini di comunità srilankesi, fanno battaglie contro le chiusure degli ospedali pubblici. In una fase, tra l’altro, in cui siamo bombardati da giornali che ci dicono che non è possibile garantire la spiaggia e il parco urbano a Bagnoli, ora noi abbiamo un esercito di manutentori del verde, per cui sarebbe anche divertente andare a dire al comune di Napoli: perché queste persone che già pagate non le spostate tutte quante per garantire il parco urbano e la spiaggia? Stimolarli quindi sul fatto che se il danaro pubblico si vuole tirar fuori per il lavoro pubblico, dignitoso e stabile, si può tirare fuori».

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