Nessuno ha voluto questo strano aggeggio di Dyson

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Nessuno ha voluto questo strano aggeggio di Dyson

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Nel 2022 Dyson, azienda britannica nota soprattutto per i suoi aspirapolvere di grande successo, presentò uno strano ibrido tra un paio di cuffie e una maschera antigas che avrebbe dovuto offrire isolamento dai rumori e soprattutto aria purificata agli utilizzatori. Si chiamava Dyson Zone e attirò fin da subito molte attenzioni perché non era chiaro a che tipo di esigenza rispondesse, e se davvero potesse esserci una domanda per un prodotto simile. Tanto più che il prezzo alla presentazione era di circa mille dollari.

Le prime recensioni del prodotto arrivarono l’anno successivo, quando fu messo in vendita, e contenevano aggettivi come «assurdo» e «bizzarro». Lo youtuber Marques Brownlee lo definì «il prodotto più stupido che abbia mai recensito». Non è quindi una sorpresa che, a poco più di due anni dalla sua commercializzazione, l’azienda abbia deciso di interromperne la produzione.

A rivelarlo è stato Jake Dyson, figlio del fondatore dell’azienda James, in un’intervista data a Wired. Jake Dyson ha avuto un ruolo fondamentale nella storia di questo dispositivo, visto che Zone è stato il primo progetto Dyson di cui ha seguito lo sviluppo all’interno dell’azienda. Inizialmente, le sue aspettative per Zone erano piuttosto alte: «Dopo sei anni di sviluppo, siamo felici di darvi aria pura e audio puro, dappertutto», dichiarò all’epoca.

Nonostante la sua forma inusuale, Zone non si allontanava così tanto dalla tradizione di Dyson. Alla base del suo funzionamento c’erano i componenti fondamentali del successo di molti prodotti dell’azienda, dagli aspirapolvere agli asciugamani ad aria, passando per i phon: le ventole e i sistemi di aspirazione d’aria.

Zone era composto da due parti principali in grado di incastrarsi e rimanere attaccate grazie a dei magneti: la prima era un paio di grosse cuffie antirumore; la seconda era un purificatore d’aria simile a una maschera, da posizionare davanti alla bocca e al naso. Secondo molte recensioni, le cuffie erano di buona qualità e assicuravano un ottimo audio e isolamento dai rumori circostanti; il problema era piuttosto la maschera filtrante.

La filtrazione dell’aria avveniva all’interno delle cuffie, la componente più ingombrante e pesante di Zone. Al loro interno erano presenti due filtri — uno elettrostatico e uno al carbonio — progettati per purificare l’aria. In particolare, Zone era pensato per filtrare il biossido di azoto e le polveri sottili (PM10 e PM2.5), tra i principali inquinanti dell’aria nelle aree urbane. Una volta filtrata, l’aria veniva rilasciata da dei compressori, delle piccole aperture sui lati delle cuffie, che la dirigevano verso il naso dell’utente anche grazie alla maschera, cioè l’elemento orizzontale e più visibile di Zone.

– Leggi anche: Il misterioso dispositivo a cui sta lavorando OpenAI

Il dispositivo era anche dotato di un rivelatore di biossido di azoto, che permetteva di mettere in funzione i filtri quando l’aria attorno a chi lo indossava era particolarmente inquinata. Gli utenti potevano inoltre usare un’app per monitorare la qualità dell’aria attorno a loro, e confrontarla con quella filtrata da Zone.

Nel corso dell’intervista, Jake Dyson ha cercato di riassumere la genesi del prodotto: «Con Zone pensavamo di poter offrire qualcosa di migliore rispetto a quello che c’era già in circolazione. Prendi l’erogatore d’aria pura e ininterrotta, e lo abbini a delle cuffie, perché devi comunque indossarlo sulla testa. Unendo le due cose, diventa una proposta più interessante… c’è un valore aggiunto».

In particolare, Dyson ha provato a spiegare il processo logico che ha portato a Zone, offrendo però una ricostruzione un po’ confusa: «Sarò completamente onesto: spesso lavoriamo in modo ossessivo. Vogliamo questo prodotto. Vogliamo fare questa cosa. Alle volte, prima di valutare quale potrebbe essere la risposta del mercato. E il mercato non esisteva. Quindi bisogna correre dei rischi».

È nel corso di questa intervista che Jake Dyson ha confermato la sospensione della produzione di Zone, sottolineando però di «avere ancora gli strumenti per produrlo, non li abbiamo buttati via», perché «è qualcosa che crediamo tornerà nel futuro». Zone, secondo lui, era semplicemente «troppo avanti» per il suo tempo.

Nel frattempo Zone (di cui sono state vendute «migliaia» di unità, secondo l’azienda) ha aperto la strada a un mercato nuovo per Dyson, quello dell’audio. L’anno scorso, infatti, l’azienda ha presentato OnTrac, un paio di cuffie (senza maschere filtranti, ovviamente) che hanno ricevuto recensioni piuttosto positive e in appena un anno hanno venduto «dieci volte più di Zone».

Nonostante tutto, Dyson Zone è stato di fatto un fallimento. Ivan Lam, analista della società di ricerche di mercato Counterpoint, ha calcolato che il progetto dev’essere costato all’azienda «decine di milioni di dollari». E, per quanto sia una cifra molto più piccola di quella investita per altri progetti andati male, il risultato è stato comunque un prodotto finale con «zero entrate, nessun margine di guadagno e nessuna visibilità».

Dyson non è nuova a esperimenti ambiziosi e rischiosi. A partire dal 1993, e in particolare nel corso degli anni Dieci del Duemila, l’azienda investì quasi tre miliardi di euro nello sviluppo di un’automobile elettrica, N526, che fu presentata nel 2017 da James Dyson, il fondatore dell’azienda. Due anni dopo il progetto, al quale lavorarono circa 500 persone, fu improvvisamente terminato da Dyson.

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