Pochi splendori e tante miserie. Il disastro degli impianti sportivi a Roma

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Pochi splendori e tante miserie. Il disastro degli impianti sportivi a Roma
(archivio disegni napolimonitor)

C’è una pagina del libro di Galeano, Splendori e miserie del calcio, che tutti gli appassionati dovrebbero conoscere a memoria. Parla di quella volta in cui il suo amico e scrittore Osvaldo Soriano gli scrisse, raccontandogli di una strana passeggiata. Insieme a un famoso attaccante del San Lorenzo de Almagro degli anni Sessanta, José Sanfilippo, eroe della sua infanzia, Soriano si trovò a camminare in mezzo agli scaffali di un supermercato negli anni dell’espansione incontrollabile dei centri commerciali, verso la metà degli anni Novanta, nel momento forse di maggiore dominazione culturale del modello consumistico americano nel mondo.

Tra detersivi e prodotti per i pavimenti, salsicce e formaggi, Soriano racconta come a un certo punto Sanfilppo, mentre la gente intorno cominciava a incuriosirsi e a osservare con la stessa attenzione dello scrittore argentino l’ex attaccante, lo invitò a fermarsi e osservare in alto. «Pensa che proprio qui insaccai quel gran tiro di punta a Roma nella partita contro il Boca». Mentre il calciatore indicava il punto esatto in cui si era infilato un pallone alle spalle di Antonio Roma, portiere del Boca Juniors, in un famoso derby vinto dal San Lorenzo nel 1962, Soriano racconta che una donna avvicinandosi confermò: «Fu il gol più rapido della storia».

Sanfilippo descrisse nei dettagli quel gol, come era maturato e quello che aveva suggerito di fare a un compagno: «Appena comincia la partita mandami una palla lunga in area». Quello era rimasto un po’ spiazzato, ma aveva eseguito la consegna. La palla arrivò proprio dove doveva. «Me la mise qui! Il pallone arrivò spiovente un po’ dietro i centrali, scattai ma andò a finire un po’ più in là, dove adesso c’è il riso, vedi?».

Nonostante le scarpe eleganti e lo scomodo vestito blu, Sanfilippo si mise a correre in mezzo agli scaffali e poi disse a Soriano: «La lasciai cadere e… plum!». Fece finta di esplodere il sinistro e tutti voltarono lo sguardo seguendo quel pallone immaginario che, sorvolando lamette da barba, batterie stilo, e superando le casse, si insaccava come la prima volta. Cassiere e clienti celebravano intanto gridando e spellandosi le mani per quel gol, come se lo avessero visto realizzarsi di nuovo davanti ai loro occhi.

Questo testo descrive bene il dolore che abbiamo vissuto in tanti, troppe volte, di fronte a cambiamenti urbanistici figli della speculazione e degli interessi economici dei grandi colossi multinazionali. Proprio nel punto dove si trovavano Sanfilippo e Soriano c’era stato infatti il campo storico del Club Atlético San Lorenzo de Almagro, il Viejo Gasometro chiuso nel 1979 e poi sostituito da uno dei primi e più grandi supermercati Carrefour di tutta Buenos Aires.

Fu il sindaco dell’allora giunta militare, Osvaldo Cacciatore, a firmare l’ordine di esproprio del terreno, che sarebbe stato demolito poi nel 1983 e all’inizio degli anni Novanta, in piena epoca Menem (il Berlusconi d’Argentina), sostituito dal centro Carrefour. Erano lontani i fasti degli anni Sessanta e i gol di Sanfilippo, l’infanzia di Soriano e il boato delle tribune gremite.

Il Viejo Gasometro contava settantacinquemila posti ed era un luogo al quale i tifosi del San Lorenzo erano affezionatissimi. La sua demolizione creò molte proteste, che con il tempo non si sono placate. L’insistenza della tifoseria, che non ha mai accettato di essere stata allontanata dal quartiere di Boedo, ha dato i suoi frutti: nel 2012 la hinchada azul-grana è riuscita a imporre al comune di Buenos Aires l’approvazione di una legge grazie alla quale Carrefour è stata costretta a restituire i terreni alla società del San Lorenzo, che ne ha recuperato la proprietà. Grazie alla pressione dei tifosi e all’amore per il luogo dove quella passione era nata, sta nascendo oggi un progetto di ricostruzione dell’antico impianto, parte di una vera e propria operazione di riappropriazione storica: “la vuelta a Boedo”.

Se la ricostruzione di uno stadio al posto di un centro commerciale avviene a Buenos Aires, perché qualcosa di simile non dovrebbe poter accadere anche da noi, dove il numero di piccoli impianti abbandonati lasciati all’incuria e all’abbandono − si veda il caso dello storico campo della Roma a Testaccio − si moltiplica anno dopo anno?

L’abbandono di vecchi impianti sportivi, tra l’altro, è sempre più evidente, ma lo è anche l’attacco a quelli ancora in uso, sui quali si rivolge lo sguardo rapace della speculazione. Poteva finire molto male, per esempio, l’esperienza di una delle realtà di sport popolare della città di Roma, l’Atletico San Lorenzo. Nel cuore del quartiere resiste infatti ancora oggi, quasi unico nel suo genere, un bellissimo e ambitissimo campo di pozzolana. Il pericolo del suo smantellamento a favore di una serie di campi di padel, per fortuna, è stato scongiurato, e l’Atletico ha potuto continuare a svolgervi la sua attività.

Non corre immediati pericoli di questo genere la Borgata Gordiani, che da qualche anno investe in un progetto di sport popolare molte energie, fronteggiando ostacoli di vario genere ben noti a chi prova a rimettere al centro dell’attenzione la mancanza di spazi di socialità, sportivi o di altro tipo, e si autorganizza sulla base di principi come quelli della solidarietà e del mutualismo, costruendo percorsi politici capaci di disertare le violente e ingiuste regole del mercato.

La disattenzione nei confronti dei dati su questo tema stupisce: non dovrebbe destare molta preoccupazione il fatto che, nel nostro paese, la quantità di metri quadrati di spazio pubblico a disposizione dei minori per l’attività fisica sia tra le più basse in Europa? Secondo una recente ricerca di OpenPolis e Con i bambini, a fronte di una superficie totale di circa ventisei milioni di metri quadrati, i ragazzi nel nostro paese possono usufruire di uno spazio di dieci metri a testa. A Roma, in particolare, così come nella maggior parte delle città medio-grandi (da Bologna a Genova, da Milano a Reggio Calabria) lo spazio garantito è di soltanto due metri quadrati, un numero clamorosamente più piccolo, per esempio, rispetto a quello dei sessantasei di Ferrara, tra le città più virtuose.

Ecco, più che dannarsi l’anima per costruirne uno nuovo, di stadio, forse l’amministrazione capitolina dovrebbe mostrare uguale determinazione nel cercare di restituire alla cittadinanza tutti quegli spazi sportivi oggi inaccessibili, incoraggiando la pratica spontanea senza la quale il calcio non avrà altro futuro se non quello di mero strumento di business. Questo a discapito, sul lungo periodo, di tutti quei progetti che faticosamente resistono e che provano a dimostrare come sia possibile fare diversamente. (giovanni castagno)

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