Poste, Leonardo e Med-Or. L’inchiesta dei lavoratori che svela l’economia del genocidio

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Poste, Leonardo e Med-Or. L’inchiesta dei lavoratori che svela l’economia del genocidio
(disegno di francesca ferrara)

A luglio 2024 la Corte internazionale di giustizia accoglieva il ricorso avanzato dal Sudafrica che deliberava che in Palestina fosse in corso un genocidio. Nonostante questa sentenza, il nostro paese ha continuato a fornire assistenza materiale a Israele come previsto dall’accordo di cooperazione militare e di difesa, il Memorandum Italia-Israele, ratificato nel 2005. Allo stesso modo, come conferma il più recente rapporto della relatrice speciale Onu Francesca Albanese, si è andata a configurare l’esistenza di un’economia del genocidio che non si è fermata in questi due anni.

Da qui parte l’indagine di un gruppo di lavoratori di Poste italiane di Roma, sindacalizzati Cobas – portalettere, sportellisti, lavoratori della logistica – che dopo l’ingresso dell’azienda italiana tra i soci di Med-Or, a gennaio 2024, decidono di scavare a fondo su questa partnership provando a ricostruire le complicità tra Poste e la Leonardo Spa.

Il collettivo – da sempre impegnato contro lo sfruttamento e l’aumento del lavoro straordinario – considera l’indagine come uno strumento comunicativo imprescindibile per accendere i fari sul ruolo della loro azienda nel genocidio. I lavoratori scelgono di formare una redazione e dare vita a un piccolo giornale aziendale: Il postaccio.

L’inchiesta individua una serie di peculiarità che caratterizzano i rapporti tra Poste e la Leonardo. Innanzitutto la “doppia morale” dell’azienda: il collettivo denuncia la sospensione del servizio di spedizione internazionale Poste Air Cargo verso la Russia all’indomani dell’offensiva in Ucraina, mentre continua lo scambio commerciale verso Israele; rimarca le complicità dei sindacati confederali (Cgil, Cisl, Uil) che detengono quote del Fondo Poste che fa affari con società vicine a Israele, e riscontrano elementi di green washing delle aziende socie con Med-Or, come la Snam, vicina a Israele, che opera per ripulire l’immagine della Leonardo, come accaduto a Foggia fuori dallo stabilimento della fabbrica di armi italiana. Lì la società realizza un boschetto privato, non accessibile alla popolazione, per ridurre l’impatto di Co2 e mostrare il lato green dell’azienda.

L’indagine, presentata a Roma in un locale del Pigneto, “Zazie nel Metro”, da uno dei lavoratori del collettivo, diventa motivo di approfondimento della mia intervista.

Quando e perché avete deciso di fare un’indagine su Poste italiane?
«L’indagine risale all’inizio del 2025, in concomitanza con le mobilitazioni universitarie contro l’accordo di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra Italia e Israele, promosso dal ministero degli esteri. Ma una spinta viene anche dall’interno, vista la partecipazione di alcuni nostri compagni al gruppo del Bds (Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni). Così quando è emerso che Poste italiane aveva aderito a Med-Or, a gennaio 2024, decidiamo di andare fino in fondo perché rintracciavamo un elemento di complicità. Parliamo di una fondazione voluta da Leonardo che ha rapporti consolidati con Israele e l’area mediorientale. Sapevamo che non c’era solo Poste ma tutte le grandi società partecipate italiane – da Telecom a Fincantieri fino a Snam, la società dei gasdotti italiani, che ha acquistato quote della compagnia East mediterranean gas company, proprietaria del gasdotto che collega Israele con l’Egitto – e visto che come sindacato siamo attenti alle questioni sociali, abbiamo deciso di attivarci».

Che cosa avete scoperto nella vostra indagine?
«Dal 2021 Poste Air Cargo viene adibita al trasporto merci, nello stesso anno viene previsto uno scalo a Tel Aviv. Abbiamo notizie ufficiali che Poste Air Cargo dispone di una flotta adibita al trasporto di materiali “dual use”, a uso civile e militare. Il suo ruolo è quello di supporto logistico alla causa israeliana fornendo componenti di natura aerospaziale e elettronica. Il trasporto è al centro di forti critiche da parte delle Nazioni Unite che hanno richiesto più volte un embargo completo contro Israele. Dopo l’inizio delle operazioni militari israeliane e l’attentato di Hamas, i voli non solo non sono stati sospesi ma le tratte e la flotte sono cresciute. A maggio 2024 sono raddoppiate le rotte verso Tel Aviv. E tra il novembre 2024 e febbraio 2025, Poste Air Cargo ha aumentato le sue flotte aeree, passate da cinque a otto. Dal nostro paese partono almeno due voli a settimana, come riporta l’ex l’amministratore delegato di Poste, Rosario Fava, che ha confermato che Poste Air Cargo trasporta materiale aerospaziale verso Israele. Insomma, ci sono tante coincidenze che fanno pensare che esiste una complicità diretta con Israele».

Cosa pensate del Fondo Poste?
«È un fondo privato soggetto a meccanismi finanziari e scelte di investimento non sempre trasparenti. Il fondo non è solo uno strumento previdenziale, ma affida miliardi a società che finanziano direttamente la macchina bellica israeliana: come Allianz, Axa, Amundi, Generali, Ubs, Eurizon. Nel fondo compaiono anche le grandi società Big Tech del progetto NimbusMicrosoft, Amazon, Google – che forniscono sistemi di intelligenza artificiale e cloud che consentono al governo israeliano di schedare e sterminare la popolazione palestinese. La questione del fondo l’abbiamo sollevata più volte. All’epoca come Cobas avevamo consigliato ai lavoratori di lasciare il Tfr in azienda ma la maggioranza decise – spinta dai sindacati confederali – di acquistare quote del Fondo Poste. Sapevamo i rischi a cui andavamo incontro: il fondo privato è soggetto a speculazioni finanziarie, a rialzi, in una logica basata sull’inflazione. Recentemente hanno introdotto delle misure di welfare aziendali che spingono i lavoratori ad acquistare quote aggiuntive del fondo. Ti danno una quota in più, ma se non la vuoi non prendi i soldi. Parliamo di investimenti pianificati da consigli di amministrazione in cui troviamo i sindacati confederali. C’è quindi una responsabilità diretta: quando si investe in società coinvolte in conflitti o in progetti come Med-Or, non si può dire “non lo sapevamo”. Non parliamo di una responsabilità equiparabile a quella di un cittadino: costretto a fare un’assicurazione sulla propria auto perché meno costosa, ma poco consapevole di quello che c’è dietro».

Come nasce il giornale?
«L’idea c’era da anni, ma mancavano le forze. E nei primi mesi del 2025 decidiamo di formare una redazione: chi impagina, chi scrive, chi disegna. Un compagno di Poste, autodidatta, ci regala vignette straordinarie. Il primo numero esce, come prova, ad aprile. Dopo l’estate decidiamo di farlo diventare mensile. Lo distribuiamo a mano negli uffici. E piace: i lavoratori lo leggono, ci parlano. In poco tempo si trasforma in un piccolo spazio critico all’interno di un’azienda in cui la sindacalizzazione “conflittuale” è molto bassa. La nascita del giornalino ha influito sulla mobilitazione degli ultimi scioperi. In alcuni uffici abbiamo avuto una partecipazione più alta del solito: quasi venti persone su cento hanno preso parte alle ultime mobilitazioni. Non è una rivoluzione, ma è un cambiamento. Alcuni lavoratori ci hanno  chiesto come uscire dal Fondo Poste, dopo aver scoperto dove finiscono i soldi. Certo, parliamo di una categoria in cui il sindacalismo conflittuale ha difficoltà a fare breccia. Altrettanto difficile è scardinare i meccanismi di marketing aziendale. Poste si vuole presentare dalla parte dei cittadini, vicina alle loro esigenze. Conosciamo bene queste immagini: il postino sorridente, il pensionato che esce felice dall’ufficio postale… Una maschera che cela gli scenari inquietanti che ci stanno dietro. Come quello sulla Palestina».

Cosa si può fare per bloccare l’economia del genocidio?
«Come sigla sindacale proviamo ad aprire le procedure di raffreddamento, e lo facciamo sempre ogni tre mesi contro l’incremento del lavoro straordinario. Un incremento che alimenta lo sfruttamento dentro la categoria. E in questo contesto si inserisce la complicità di Poste con il governo israeliano, visto che quei soldi non vanno ad arricchire solo gli investitori privati, ma anche l’economia di guerra. Ma visto che siamo in minoranza – la maggioranza dei lavoratori è sindacalizzata CislPoste Italiane si rifiuta di trattare. Il che rende tutto complicato. Il 3 giugno 2025 abbiamo fatto uno sciopero per l’intera giornata, e ne volevamo fare altri. Ma alla fine abbiamo preferito confluire negli scioperi generali di settembre e ottobre. Bisogna fare tutto il possibile: sia il boicottaggio, dove si può fare, sia la partecipazione agli scioperi, come è stato fatto ultimamente; e intanto sedimentare una consapevolezza tra le persone, continuando a fare tanta informazione. Bisogna costruire una convergenza tenendo unite tutte le questioni: dal decreto sicurezza, al ddl Gasparri, all’allungamento dell’età pensionabile, all’abuso del lavoro precario fino alla questione dei salari. Tutto questo è legato al riarmo e al genocidio. Cerchiamo di promuovere una visione complessiva della società; d’altronde, se vivi meglio lavori meglio, non possiamo separare le cose». (giuseppe mammana)

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