Un milione di italiani (non sono italiani) è un cortometraggio documentario di Maurizio Braucci sul tema del riconoscimento della cittadinanza italiana a ragazzi e ragazze con background migratorio nati in Italia. I minori di seconda o nuova generazione nati in Italia sono un milione e trecentomila circa, e solo una piccola parte tra loro (duecento novantamila) ha ottenuto la cittadinanza. Allo stato attuale, il dieci per cento del totale di tutti gli studenti ha origine straniera e il sessantacinque per cento è nato o nata in Italia.
Il quinto quesito del referendum abrogativo per il quale si può votare oggi e domani propone di dimezzare da dieci a cinque anni il tempo di residenza legale in Italia per poter richiedere la cittadinanza, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. In chiusura di questo testo potrete leggere la testimonianza scritta da una nostra giovane lettrice, K., che ci ha proposto di pubblicare una parte della sua storia proprio nei giorni in cui i suoi concittadini andranno a esprimere il proprio parere su questioni che la riguardano molto da vicino.
Di fondamentale importanza sono anche gli altri quattro quesiti del referendum, che si esprimono sulla legislazione riguardante il mondo del lavoro. Il primo chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti prevista dal Jobs Act: nelle imprese con più di quindici dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 2015 in poi non possono rientrare al loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo (la legge oggi impedisce il reintegro anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto di lavoro). Il secondo riguarda la cancellazione del tetto all’indennità sui licenziamenti nelle piccole imprese: oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere sei mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto di lavoro. Il terzo quesito propone una riduzione del lavoro precario attraverso l’eliminazione di norme sull’utilizzo dei contratti a termine (in Italia circa due milioni e trecentomila persone hanno oggi contratti di lavoro a tempo determinato). Il quarto, infine, interviene su salute e sicurezza sul lavoro, proponendo di modificare le norme che impediscono, in caso di infortunio sul luogo di lavoro, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante e all’imprenditore committente.
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Io tra di voi. Uno scritto di K.E.
Ho diciannove anni e vivo nella periferia ovest di Napoli. Sono originaria della capitale del Burkina Faso, Ouagadougou. Vivo in Italia da molto tempo, dodici anni circa. Frequento il liceo scientifico, sono all’ultimo anno. Ho molte passioni, soprattutto mi piacciono i libri e la musica.
Tanti ragazzi e ragazze come me vivono un’esperienza insidiosa con il permesso di soggiorno. Per ottenerlo, è necessaria una grossa trafila che verifichi i requisiti, che cambiano in base al motivo della richiesta: lavoro, famiglia, studio, eccetera. Si può fare domanda tramite il kit postale o in questura. In base al motivo di soggiorno, è necessario presentare specifici documenti, come il passaporto in corso di validità, il visto d’ingresso, la dichiarazione di ospitalità per chi non ha un domicilio fisso. Anche per il rinnovo si riparte ogni volta da zero, con gli stessi tempi infiniti. La mia famiglia ha iniziato la procedura ad agosto 2024 e i documenti sono arrivati solo qualche giorno fa. Durante il periodo di richiesta per me sarebbe risultato molto difficile spostarmi dall’Italia poiché il documento risultava scaduto (nonostante la specifica “soggiorno a durata illimitata”). L’unica soluzione sarebbe stata provare di aver fatto la domanda di richiesta, ma anche in quel caso vi è altra infinita burocrazia da affrontare.
Le file sono lunghissime, le persone vengono spesso trattate con sufficienza, come se stessero chiedendo qualcosa che non gli spetta. C’è poco rispetto per la dignità delle persone. I documenti richiesti sono tanti, alcuni inutili e ridondanti. In più, gli uffici (l’ufficio immigrazione, i Caf, gli uffici postali) si regolano in maniera discordante sulle modalità con cui va fatta la pratica. In questo modo creano confusione sulle responsabilità durante le varie fasi del processo (dalla richiesta all’invio della pratica). Vi è poca attenzione sui dati nei documenti: spesso vengono riportati in maniera sbagliata, costringendo le persone a rifarli per colpe non proprie e spesso con costi aggiuntivi (già la pratica in sé ha costi importanti). Quando si va negli uffici si vive in uno stato di ansia. L’assenza di un solo documento fa saltare l’appuntamento, che poi è difficile riottenere in tempi brevi. Le persone si portano indietro qualsiasi carta, anche inutile, per la paura di essere mandate via.
Chi non ci passa direttamente non ha idea di quanto sia difficile, frustrante e stancante tutto questo. Le persone sono costrette a rinunciare a un’intera giornata di lavoro, e non sempre si ottengono i permessi facilmente; si aspetta una intera giornata in piedi, con appuntamenti dati a un certo orario ma che poi slittano di ore, perché tutto si basa su numeri su foglietti di carta, raccomandazioni e caos. Se non riuscissi a ottenere il permesso di soggiorno mi risulterebbe impossibile continuare gli studi o trovare un lavoro, spostarmi, rinnovare i miei documenti e di conseguenza la mia stessa permanenza in Italia non sarebbe possibile. Ma io voglio continuare a studiare e costruirmi un futuro qui.
La cittadinanza è fondamentale perché rispetto al permesso di soggiorno ti permette una vita più libera: puoi spostarti, lavorare, votare. Ma soprattutto puoi dire basta a questo percorso lungo e stressante di continui rinnovi e burocrazia. La residenza legale e continuativa in Italia è il requisito fondamentale per richiedere la cittadinanza tramite naturalizzazione. La cosa assurda è che allo stato attuale, allo scattare dei dieci anni, la cittadinanza non viene rilasciata automaticamente, e anche in questo caso è necessario un infinito iter di documentazioni e attese: deposito dei documenti, richiesta, eventuale accettazione della domanda, giuramento, rilascio. Per i cittadini non nati qui, ma che a loro volta qui hanno vissuto continuativamente per dieci anni, i costi crescono: la legalizzazione dei documenti va fatta all’ambasciata italiana più vicina al paese di provenienza, e a questa spesa vanno aggiunti i costi per farli rispedire in Italia, oppure andarli a recuperare di persona.