
Nel 1959 Feltrinelli dà alle stampe Sud e magia di Ernesto de Martino, libro che raccoglie un insieme di studi condotti da un gruppo di ricerca in alcuni paesi della Lucania. Negli stessi anni il Centro nazionale per l’energia nucleare (Cnen) individua il luogo in cui costruire la sua seconda sede, lungo la Statale 106 che collega Taranto a Reggio Calabria, in una contrada del comune di Rotondella in Basilicata. La contrada Trisaia da quel giorno cessa di esistere per fondersi con la funzione prescelta: il Centro Trisaia. Ma perché la Basilicata, perché proprio in quelle terre?
«Ho sempre pensato che ci sia una connessione tra questi due eventi, concettualmente distanti, come una sorta di sillogismo storico, politico e antropologico, tra l’individuazione della Trisaia e l’uscita di Sud e magia. Poi, certo, un grosso contribuito è stato dato da Emilio Colombo all’epoca ministro dell’industria», dice Claudio Persiano dell’Arci di Rotondella, alludendo all’idea della “scoperta” come colonizzazione di terre remote, sfruttamento di colonie interne senza problemi con la gente del posto. Di scoperta si parla anche negli studi etno-antropologici compiuti da de Martino nelle “terre dell’osso” – i cui fini erano però ben altri –, nei paesi dimenticati da Cristo per indagare quella civiltà contadina inchiodata al destino inamovibile e ai confini della Storia, al di fuori di qualsiasi idea di classe e di trasformazione dello stato di cose presente.
In altra occasione, quando ho posto la stessa domanda a Casimiro Longaretti, tra i promotori dei campeggi di lotta contro il nucleare lungo la costa jonica degli anni Settanta, anch’egli ha fatto riferimento a una condizione antropologica di subalternità a motivo delle scelte politiche di insediamento della Trisaia. «La mia regione non viene scelta a caso – dice Longaretti –. È nota, infatti, la sudditanza del popolo lucano al potere centrale dello Stato. La Dc e il clero hanno sempre avuto libero arbitrio sulla sorte degli abitanti di questa desolata regione del Sud. Per noi lucani il detto “o briganti o emigranti” è quanto mai vero, siamo stati sempre trattati marginalmente dal potere centrale; fateci caso, la Basilicata non viene mai nominata nemmeno nell’informazione meteo; ci orientiamo con il bollettino delle regioni confinanti».
Ma Colombo, “figlio prediletto della Lucania”, ha la vista lunga. Quel contadiname senza senno né sorte potrebbe tornargli utile – pensa il plenipotenziario della Dc. Voti, consenso e mediazione locale, a suon di prebende, clientele e posti di lavoro, sono una miniera preziosa. Coglie la palla al balzo e dà il via all’istituzione della sede lucana, strategicamente importante per lo sviluppo del paese e il progresso della sua regione. Tra l’altro in un luogo logisticamente baricentrale, crocevia di più regioni – Calabria, Puglia e la stessa Basilicata. Così nel 1962 il Cnel acquista i terreni in Trisaia, a un paio di chilometri dalla spiaggia jonica, mentre l’inaugurazione del Centro Ricerche Enea e del suo impianto avvengono nel 1968.
SCANZANO E LE SCORIE
Nel Cristo si è fermato a Eboli Carlo Levi parla della condizione dei “suoi” contadini: “E quella gente mite, rassegnata e passiva, impenetrabile alle ragioni della politica e alle teorie dei partiti, sentiva rinascere in sé l’anima dei briganti. Così sono sempre le violente ed effimere esplosioni di questi uomini compressi, un risentimento antichissimo e potente affiora, per un motivo umano; e si danno al fuoco i casotti del dazio e le caserme dei carabinieri, e si sgozzano i signori; nasce, per un momento, una ferocia spagnola, una atroce, sanguinosa libertà. Poi vanno in carcere, indifferenti, come chi ha sfogato in un attimo quello che attendeva da secoli”.
D’altronde è quanto avvenuto nel novembre 2003. La protesta di una regione contro il decreto 314 voluto dal secondo governo Berlusconi che avrebbe dato il via alla realizzazione del deposito nazionale di scorie nucleari nelle cave di salgemma di Terzo Cavone, nel comune di Scanzano Jonico, a una ventina di chilometri dalla Trisaia. Nei giorni della protesta migliaia di persone partecipano a blocchi stradali, cortei, comizi; occupano il municipio, il sito prescelto e la stazione ferroviaria con la “marcia dei centomila” del 23 novembre. Due giorni dopo un altro corteo, a Roma stavolta. Il 26 si tiene un convegno davanti al presidio, pieno di persone e di telecamere, con una processione di politici di ogni colore. Il 27 novembre arriva la notizia: il nome di Scanzano sparisce dal decreto.
«È rimasto poco – continua Claudio Persiano –. L’associazione ambientalista “ScanZiamo le scorie”. E niente più. Quella potenza e quella coscienza esplose nei quindici giorni di mobilitazione sono rientrate nei ranghi. Poi è tornata la pletora di politici locali, i mediatori di clientele dei politici nazionali, luogotenenti del potere che con la Trisaia hanno sempre fatto affari. Perché la Trisaia ha distribuito soldi, commesse, posti di lavoro e incarichi».
Non proprio, però. L’ipoteca che lascia la Trisaia, nonostante le proteste contro ulteriori forme di inquinamento, è quanto raccolto dall’Istituto Superiore di Sanità. Un rapporto, su incarico del ministero della salute, ha indagato lo stato di salute degli abitanti di nove comuni italiani in cui erano presenti impianti nucleari. L’indagine del 2015 ha confrontato i tassi di mortalità per diverse patologie, focalizzandosi in particolare su ventiquattro tipi di tumori potenzialmente collegati all’esposizione a radiazioni ionizzanti. I risultati hanno mostrato che, nella maggior parte dei casi, la mortalità era inferiore rispetto alla media regionale. Alcuni eccessi osservati non sono stati ritenuti riconducibili direttamente alla radioattività, poiché avrebbero richiesto esposizioni elevate e continuative, incompatibili con il normale funzionamento degli impianti. Lo studio ha analizzato diversi scenari di esposizione, da quelli legati al normale funzionamento a ipotesi più critiche. Il rapporto sottolinea la necessità di un monitoraggio costante della salute pubblica e dei livelli di esposizione, soprattutto in vista di futuri progetti legati alla gestione dei rifiuti radioattivi.
Sta di fatto però che, quando al monitoraggio si sostituiscono interessi privati, in un mix di correità e “familismo amorale” tra lobby e classi dirigenti per trovare scorciatoie nella gestione e nello stoccaggio di materiale radioattivo, appaiono le peggiori infamità. L’Italia, peraltro, ha un grosso problema che si trascina da decenni riguardo al monitoraggio di tale materiale. E di infamità da quelle parti ce ne sono tante, assai spesso sottaciute. Anche qui vige la morale dei Carmine Schiavone, che a chi gli chiedesse conto degli sversamenti nel casertano, cioè sotto casa sua, rispondeva: “Ma tu quanto tempo vuoi campare?”.
L’ULTIMA INCHIESTA
Il 27 maggio si terrà la seconda udienza del Tribunale di Potenza sull’inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia sull’inquinamento della falda idrica nel sito Enea – Sogin (Società per lo smantellamento degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi), in particolare all’interno dell’Impianto di trattamento e rifabbricazione elementi di combustibile (Itrec) che si trova dentro la Trisaia. A dire il vero è la terza, seppur distinta, inchiesta sulla Itrec.
«I fatti risalgono all’aprile 2018 – racconta Claudio –, quando scattarono i sigilli a tre vasche di raccolta dell’impianto Itrec di Rotondella. Sarebbero servite allo sversamento in mare di circa 65 mila metri cubi di acqua contaminata da sostanze cancerogene quali il cromo esavalente e, senza alcun trattamento, attraverso una condotta di scarico non autorizzata. Anche se in realtà la vicenda è iniziata nel 2014-15. La Sogin monitora le acque di falda tramite una serie di peziometri, cioè strumenti che servono a evitare che le acque e le piscine non si contaminino fra di loro. Questi piezometri restituiscono dei valori di cromo esavalente, trielina, tricloroetilene e altri elementi, molto elevati rispetto ai limiti di legge. Così nel 2015, la Sogin comunica questa rilevanza, e nello stesso anno parte il monitoraggio da parte dell’Arpab (l’Agenzia regionale per l’ambiente). Nel 2017 questi dati vengono poi raccolti dall’Asm, l’Azienda sanitaria di Matera e dal comune di Rotondella. Intanto il sindaco emana un divieto di emungimento delle acque sotterranee nella zona della Trisaia. E nel 2018 gli organi di stampa danno notizia della terza inchiesta condotta negli anni sull’Itrec e il Centro Enea».
L’accusa è nei confronti di tredici indagati, tutti direttori, dirigenti e tecnici della Sogin, dell’Ufficio ambiente della provincia di Matera, del centro ricerche Enea, del dipartimento fusione nucleare e tecnologie per la sicurezza dell’Enea, dell’ufficio suolo e rifiuti dell’Arpab di Matera. Insomma, nomi di un certo calibro della politica ambientale regionale e nazionale.
Nell’udienza di fine mese il tribunale potentino riconoscerà la parte civile per i comuni di Rotondella e di Policoro; le associazioni Legambiente Basilicata, Cova Contro, ScanZiamo le scorie, Arci Basilicata e Arci La tarantola di Rotondella. In altre parole, riconoscerà quello che è un monitoraggio popolare, dal basso, talvolta sotterraneo eppure esistente, che ha cercato di contrastare il saccheggio dei beni comuni della Lucania. Che è invero il sedimento di memorie collettive e di lotte degli anni Settanta.
Gli echi delle proteste di Scanzano, e di tutta la regione, risalgono infatti ai campeggi di lotta lungo la costa jonica di fine anni Settanta, da cui è nato il Coordinamento nazionale antinucleare e antimperialista promotore del referendum abrogativo del nucleare nel novembre 1987.
L’opposizione al nucleare inizia a Montalto di Castro (VT) nel ’77. L’anno successivo, dal 29 luglio al 6 agosto, Radio Onda Rossa, gli autonomi di via dei Volsci di Roma insieme a compagni lucani, tra cui Casimiro Longaretti, organizzano un campeggio di lotta a Nova Siri Marina, a soli quattro chilometri dalla Trisaia. Militanti di Nova Siri, Rotondella, Policoro, Pisticci, Ferrandina, Valsinni, San Giorgio Lucano e di altri comuni della provincia di Matera si ritrovano a collaborare nella realizzazione dell’evento. Rispondono alla chiamata compagni dei paesi dell’alto Jonio cosentino, prossimi a Nova Siri, così come i pugliesi, in particolare i tarantini e i brindisini.
Durante il campeggio vengono organizzati interventi ai cancelli dello zuccherificio di Policoro, distante una trentina di chilometri dal campeggio, e nell’area industriale della valle del fiume Basento, tra Pisticci Scalo e Ferrandina, dove sono situate l’Anic, la Liquichimica e altre piccole fabbriche dell’indotto. Si parla con i lavoratori delle condizioni di lavoro, dei turni massacranti, di lavoro straordinario non retribuito e tanto altro. Gli operai sembrano quasi stupiti nell’apprendere da ragazzi che vengono da lontano quanto le condizioni lavorative in fabbrica siano di assoluto sfruttamento: a loro basta fornire alla famiglia quel minimo di salario a fine mese per poter campare, e perciò sono grati a padroni e padrini per la “magnanimità”. Altri gruppi di campeggianti si spingono a un’oretta d’auto fino a Taranto ai cancelli dell’Italsider. Nelle piazze dei paesi dell’entroterra lucano nascono assemblee spontanee sui diritti negati e sul lavoro massacrante e sottopagato; sulle donne sfruttate nei pesanti lavori agricoli, dentro le serre a temperature insopportabili per la produzione di frutta e verdure, sottoposte al dileggio dell’agrario di turno o dei caporali. «Prima di allora – ricorda Casimiro Longaretti – si parlava della Trisaia come di un posto di lavoro ambito, con una paga mensile appetibile rispetto al salario da fame degli operai di altre categorie, ma nessuno aveva mai spiegato loro la pericolosità di quel tipo di lavoro e che tipo di materiali venissero trattati; nessuno aveva mai spiegato cosa comportasse stare all’interno di quel ciclo infernale, a contatto con materiale nucleare altamente radioattivo».
Dopo una settimana di preparativi e informazione alla popolazione dei paesi limitrofi, si arriva alla manifestazione conclusiva: sabato 5 agosto 1978, giorno dell’anniversario della strage nucleare di Hiroshima e Nagasaki, in Giappone, per mano degli Usa. Il corteo partecipatissimo si muove verso la Trisaia sulla statale 106: striscioni contro il nucleare, contro la galera e la repressione, contro gli agrari; cartelli con i nomi dei padroni che sfruttano gli operai, contro l’inettitudine dei sindacati incapaci di contrastare i caporali; striscioni che denunciano la permissività del Pci, la sua connivenza e il suo guadagno percentuale sull’assunzione dei suoi protetti nelle varie aziende del metapontino.
L’anno successivo, più o meno nello stesso periodo e sempre all’interno della pineta a un passo dallo Jonio a Marina di Nova Siri, i comitati autonomi operai di Roma e i compagni lucani ripropongono l’impegno. La partecipazione al secondo campeggio No Nuke è addirittura superiore all’anno precedente. «Malgrado tutte le avversità create dal compromesso storico – ricorda Casimiro – la lotta contro l’Energia Padrona non si fermava. La domanda che ritornava spesso durante le settimane preparatorie, era relativa al perché proprio la Lucania fosse stata prescelta per ospitare l’energia nucleare. La risposta sintetizzava tutta la storia dell’Italia unita. La Basilicata è la regione del Mezzogiorno che storicamente ha fatto registrare meno tensioni sociali. I moti di piazza si erano fermati agli anni Cinquanta, con le lotte per le terre dell’ente per la riforma agraria. Nel contempo un grande bisogno di lavoro, rispetto al quale non è mai importata la qualità e se esso comportasse un particolare pericolo per l’ambiente e per la popolazione locale. Le lobby energetiche italiane non fecero mai mistero di questa scelta. I salari erano molto bassi in Lucania, e in più vi era l’opportunità per loro, con una maggiore produzione di energia, di attivare l’automazione delle linee di produzione nelle fabbriche del Nord, il che avrebbe permesso una drastica riduzione della mano d’opera e, di conseguenza, l’espulsione di migliaia di operai. Così, il ricatto del bisogno di lavoro tra le masse del Sud sarebbe enormemente cresciuto. La gente del posto, invece, considerava questa scelta come una manna dal cielo e poco importava loro della sicurezza e della qualità del lavoro».
Le tensioni politiche nel paese si avvertono tutte durante gli incontri, nonostante il posto stupendo e il mare che ritma le giornate. Il “teorema Calogero” aleggia tutt’intorno, la retata repressiva del 7 aprile è ancora calda: un minestrone di accuse contro l’area dell’Autonomia operaia. Così il dibattito tra i campeggiatori è condizionato dall’inquietante retroscena. «Ancora oggi – ammette Casimiro – molte persone sono grate ai partecipanti dei due campeggi per aver dato loro una indicazione su quanto fosse pericoloso quello che si celava dietro le reti di recinzione del Cnen. Grazie a quelle mobilitazioni le persone hanno compreso che il potere delle lobby può essere sconfitto solamente prendendo coscienza e opponendosi compatti. È l’esempio di Scanzano Jonico del 2003». (francesco festa)