
Disegni, modellini, progetti su carta lucida, fotografie, libri, riviste e una grande collezione di conchiglie. Tutto nel suo camper fino a Catania, per costruire un corso di architettura nella facoltà di ingegneria. Franco Marescotti, si è trasferito in Sicilia con sua moglie Rosabella nel 1971, ed è rimasto lì fino al 1991, anno della sua scomparsa.
Dagli anni Trenta del secolo scorso, Marescotti ha partecipato attivamente al dibattito sulla costruzione della città e delle periferie, con importanti scritti e pubblicazioni sulla casa per tutti e sulla prefabbricazione, collaborando a varie edizioni della Triennale di Milano e alla stesura di vari numeri della rivista Casabella. Negli anni Cinquanta ha fondato uno studio di architettura sociale dopo aver collaborato a diversi progetti per i Centri sociali cooperativi, primi esempi di progettazione partecipata. Qui insieme all’abitazione erano previsti i luoghi collettivi per il libero sviluppo della persona dove esprimere socialità e creare comunità: biblioteche, piscine, sale giochi e sale per il ballo. Il Centro sociale cooperativo Grandi e Bertacchi sul Naviglio a Milano, è un ottimo esempio di quella stagione in cui per Marescotti “la democrazia è anche una questione di metri quadri”.
GLI ALLIEVI
Due anni fa a Catania ho conosciuto Sabina Zappalà, un’architetta che ha lavorato nel quartiere di Librino, progettato a sud-ovest di Catania dall’architetto giapponese Kenzo Tange, per gran parte della sua vita professionale. La sua passione per l’architettura è legata a Franco Marescotti di cui è stata allieva e amica, amicizia condivisa fin dagli anni Ottanta con due giovani studenti di ingegneria Roberto De Benedictis ed Enzo Fazzino. I tre sono stati testimoni del periodo siciliano, nonché coloro che Marescotti ha scelto come eredi del suo lavoro. Un’amicizia e una frequentazione che negli anni ha unito profondamente i tre.
Catania è un pezzo di terra scura affacciata sul mare, col monte Etna a fare da coronamento. Negli anni Ottanta Marescotti si stabilisce in una cittadina sul fianco del vulcano, a pochi chilometri dal comune di Valverde, dove grazie a Sabina incontro Enzo e Roberto arrivati da Siracusa. Una struttura comunale ospita il piccolo Museo delle conchiglie, una preziosa collezione appartenuta a Marescotti e venduta al Comune negli ultimi anni della sua vita. «Le conchiglie non vengono tutte dalla Sicilia – racconta Sabina –, ovunque è andato Marescotti ha raccolto conchiglie, coralli; il suo studio della casa per l’uomo mirava all’essenzialità».
La ricerca teorica sulla casa moderna risale all’inizio del secolo scorso, quando diversi studi, soprattutto tedeschi, si pongono il problema dell’eccezionale sviluppo economico e del conseguente aumento demografico. Importanti urbanisti e architetti, come Hilberseimer, Mies van der Rohe e Le Corbusier, tra gli altri, compresero la necessità di ricercare una coerenza tra estetica e funzionalità nell’architettura moderna, piuttosto che la ricerca di uno stile unitario.
«Marescotti – continua Sabina – aveva memoria della Sicilia già nell’immediato dopoguerra, perché faceva immersioni e conosceva le sue coste perfettamente. In fondo nelle conchiglie lui trovava l’ideale della casa per l’uomo. La conchiglia è perfetta, essenziale, autocostruita, ogni animale ha esattamente dentro di sé la matrice di ciò che è la sua casa. Probabilmente era questo uno dei motivi per cui ne era così attratto».
Dopo questo passaggio presso il Museo, insieme a Sabina, Enzo, Roberto e sua moglie, ci sediamo a un bar nelle vicinanze. L’ingegnere Enzo Fazzino, tornato in Sicilia dopo molti anni di lavoro presso l’Unesco, racconta: «Ero attratto da questa figura e mi sono trovato in aula con gli studenti degli ultimi anni, si insegnava composizione architettonica. Eravamo negli anni Settanta, e si parlava di cose che non avevo mai ascoltato da nessun altra parte, sembrava non avesse niente a che fare con l’architettura. Sulla lavagna aveva disegnato una linea, l’equazione sessuale, e interrogava gli studenti su quanto si sentissero uomo o donna: tutto ciò in una facoltà di ingegneria! Credo che il messaggio di Marescotti sia sul lungo termine. Sono convinto che il suo lavoro continuerà a parlare alle persone, ben oltre l’architettura, perché parla di umanità e di impegno».
L’altro amico e allievo è Roberto De Benedictis, anche lui ingegnere, deputato dell’Assemblea Regionale Siciliana per tre legislature fino al 2012. «La speranza di costruire ambienti urbani che fossero a misura d’uomo – dice –, doveva essere sorretta da una politica. Marescotti nutriva, o meglio, si era formato un’idea in cui era possibile coltivare questa illusione sulla scorta degli esempi che stavano fuori dall’Italia».
Il dibattito sull’architettura moderna vede uno dei momenti cruciali nell’Esposizione di Stoccarda del 1927, in cui architetti di fama internazionale si misurano con la progettazione di un quartiere residenziale. Da quell’esperienza, molti furono i dibattiti sul futuro della città, che vennero poi ripresi nei Ciam (Congressi internazionali di architettura moderna): teorici, architetti, urbanisti, proposero la loro idea di sviluppo delle città, attraverso lo studio di tipologie edilizie e sistemi di prefabbricazione. A Milano, Marescotti, in sodalizio con Irenio Diotallevi, costruirà uno dei più importanti riferimenti teorici per le nuove generazioni di architetti italiani.
«Dopodiché questa stagione si è conclusa, ma lui continuava a fare “casette” – continua Roberto –; progettava tipologie edilizie, quando ormai il tema non era più attuale. Negli Istituti autonomi delle case popolari ancora resisteva un barlume di studio sulle tipologie e sulle abitazioni, e fino alla metà degli anni Ottanta c’era ancora la concezione che l’edilizia popolare fosse un servizio per la società, ma di questo oggi non c’è più traccia. Marescotti credeva che l’azione degli individui potesse cambiare le cose. La politica è questo, persone che si mettono insieme e fanno cambiare le cose. E con quale strumento? Ciascuno con il suo. Lui partecipava con l’architettura, altri partecipavano con la scrittura, con la poesia, con l’arte, o con la politica in senso stretto».
L’EREDITÀ
Roberto de Benedictis continua a parlare di Marescotti e del suo lascito: «Sì, noi abbiamo avuto una lettera di consegna, in cui ci ha lasciato tutto il suo lavoro, il suo materiale. Non per farne necessariamente qualcosa, ma perché non gli era rimasto molto. L’accademia lo ha rifiutato. Non era laureato e questo in Italia contava moltissimo. Negli ultimi anni ha sofferto molto perché non aveva una pensione. Ricordo che una volta lo abbiamo trovato che provava a bruciare parte del suo lavoro nel camino. Sono stati anni molto difficili per lui, di solitudine. Lo abbiamo supportato e probabilmente siamo stati gli unici. Dall’Università non l’ha cercato più nessuno, è rimasto solo, anche per il suo carattere difficile».
Sabina, Enzo e Roberto, dopo svariati tentativi di consegnarli all’Università di Catania, nel 2015 hanno affidato il suo archivio all’Accademia Nazionale di San Luca a Roma, uno storico e importante istituto dove sono conservati molti archivi di artisti e architetti degli ultimi quattrocento anni.
Proprio quest’anno, a dieci anni da quell’affidamento, l’Accademia è riuscita a digitalizzare l’archivio rendendolo pubblico lo scorso 15 maggio sul sito ufficiale. Già Francesco Moschini nel maggio 2016, all’epoca segretario generale dell’Accademia, parlava della complessità di questa figura: “Franco Marescotti ha una centralità nel dibattito architettonico che in qualche modo non viene resa pubblica e non viene resa spendibile, c’è sempre una condizione di marginalità dovuta all’integerrima e ferrea sua volontà di mantenere la dimensione etica […]. Questo forse gli ha precluso una diffusione ulteriore del proprio portato teorico e realizzativo nonostante le straordinarie esperienze e operazioni: come quella di Grandi e Bertacchi, esempi straordinari che hanno segnato in fondo una sconfitta rispetto quello che poi è successo dell’intero paese. […] Il suo archivio è composto da oltre millecinquecento disegni, un centinaio di plastici, molti materiali di documentazione fotografica, raccolte editoriali di libri e di riviste”.
L’Accademia di San Luca ha messo l’archivio a disposizione degli studiosi: «Io penso che esistano autori, architetti o pensatori che sono assolutamente ignorati in vita, e poi anni, secoli dopo vengono capiti, rivalutati», chiosa EnzoFazzino. (daniele balzano)