la-grande-espansione-del-solare
La grande espansione del solare

Caricamento player

Il 41 per cento dell’energia elettrica consumata lo scorso anno in Italia proveniva da fonti rinnovabili e quasi un terzo era stata prodotta con impianti fotovoltaici. In tutto il mondo non ci sono mai stati tanti pannelli solari come oggi e ne vengono installati di nuovi di continuo, tanto che la capacità teorica complessiva del solare è ulteriormente aumentata nel tempo in cui avete letto queste frasi. In un anno le nuove installazioni sono quasi raddoppiate, grazie al minore costo dei pannelli e della loro manutenzione. È un cambiamento epocale, che sta avvenendo a una velocità superiore alle previsioni più ottimistiche sull’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.

Nel 2009, l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA, uno dei principali punti di riferimento per coordinare le politiche energetiche) aveva previsto che grazie ai progressi in alcune tecnologie nel 2030 si sarebbero raggiunti i 244 gigawatt di capacità fotovoltaica cumulativa, cioè la potenza massima teorica che tutti gli impianti solari messi insieme possono generare nelle migliori condizioni possibili. Quel risultato è stato ottenuto nel 2015, quindi con quindici anni di anticipo rispetto alla previsione. Negli ultimi dieci anni l’IEA ha mancato buona parte delle proprie previsioni sulla diffusione del fotovoltaico, e così hanno fatto diverse altre organizzazioni che misurano e stimano gli andamenti nel settore energetico.

Venti anni fa era necessario circa un anno per aggiungere un gigawatt di energia elettrica prodotta con i pannelli solari, nel 2010 era necessario un mese e ora in media è sufficiente un giorno. Milioni di nuovi pannelli vengono installati quotidianamente sui tetti degli edifici, in sterminate aree desertiche, tra i campi agricoli e in numerosi altri contesti. A volte è un piccolo pannello solare per alimentare il sistema di pompaggio dell’acqua in un’area rurale del Pakistan, in altri casi è una sterminata serie di pannelli sui grandi capannoni degli impianti industriali in Cina.

Nel 2024 gli impianti fotovoltaici nel mondo hanno prodotto circa il 7 per cento di tutta l’energia elettrica generata, in sensibile aumento rispetto al 5 per cento del 2023. Il dato è probabilmente parziale, perché è molto difficile tenere traccia di tutti gli impianti, soprattutto di quelli domestici di piccole dimensioni e isolati dal resto della rete elettrica. Altre fonti rinnovabili hanno avuto un ruolo importante nella generazione dell’energia elettrica lo scorso anno con l’eolico all’8 per cento e l’idroelettrico al 14 per cento.

Il 9 per cento dell’energia elettrica è stato prodotto dagli impianti nucleari e buona parte del 59 per cento restante da centrali che bruciano combustibili fossili, immettendo nell’atmosfera una parte importante dei gas serra che causano il riscaldamento globale.

Il crescente successo del solare è dovuto a vari fattori, che cambiano sensibilmente a seconda delle aree del mondo, ma ci sono alcuni elementi comuni legati ai progressi tecnologici e all’economia. Le prime dimostrazioni sulla possibilità di ottenere energia elettrica dai raggi solari risalgono a circa due secoli fa, ma solo nella metà degli anni Cinquanta un gruppo di ricerca statunitense che stava studiando le proprietà dei semiconduttori si accorse – un po’ per caso, come avviene spesso con queste scoperte – che si potesse usare una cella fotovoltaica a base di silicio per ottenere elettricità a sufficienza per alimentare alcuni dispositivi.

Quel primo prototipo riusciva a convertire in media il 5 per cento della luce solare che lo illuminava: usando più celle, pensò il gruppo di ricerca, sarebbe stato possibile produrre notevoli quantità di energia elettrica. In quei primi tempi non esisteva una produzione di massa dei pannelli fotovoltaici, era un lavoro semi-artigianale che richiedeva tempo e molto denaro. I pannelli erano quindi molto costosi e c’erano pochi ambiti in cui fosse economicamente vantaggioso utilizzarli. Le prime missioni spaziali si rivelarono il banco di prova ideale, anche perché non c’erano molte alternative pratiche per alimentare a lungo gli oggetti che venivano inviati in orbita.

Il satellite statunitense Vanguard 1 lanciato nel 1958 fu il primo a utilizzare celle fotovoltaiche (NASA)

L’industria spaziale fu l’incentivo iniziale ideale per non far abbandonare quella tecnologia e per continuare a migliorarla, grazie a diversi progressi tecnologici. I pannelli solari iniziarono a diffondersi, per quanto fossero ancora costosi e alla portata soprattutto dei grandi gruppi industriali. Un primo piano di sussidi negli Stati Uniti per adottarli smosse qualcosa tra la fine degli anni Settanta e i primi Ottanta, ma fu solo una ventina di anni dopo che il mercato del solare iniziò a cambiare sensibilmente grazie ad alcune iniziative di finanziamento più coerenti e orientate verso il medio-lungo periodo in Europa, a cominciare dalla Germania.

Come racconta Bill McKibben in un lungo articolo sul New Yorker, quei sussidi generarono in poco tempo una grande domanda di pannelli fotovoltaici, inducendo la Cina non solo a produrre molti più pannelli solari per rispondere all’alta richiesta, ma anche a occuparsi della ricerca e dello sviluppo per produrne di più economici ed efficienti. È un approccio che l’industria cinese segue in numerosi campi e quasi sempre con risultati importanti, come nel caso della produzione dei microchip che troviamo ormai praticamente in qualsiasi dispositivo.

In un decennio circa, la Cina è diventata non solo il principale esportatore di pannelli fotovoltaici in giro per il mondo, ma anche uno dei più grandi installatori. Il paese ha rallentato la costruzione di nuove centrali a carbone e ha fatto investimenti crescenti nel solare non tanto, o non solo, per motivi ambientali, ma perché è ormai molto più economico produrre energia elettrica dal solare e dall’eolico rispetto ai combustibili fossili.

Da oltre un secolo bruciamo cose come carbone, petrolio e gas per produrre energia elettrica attraverso un processo altamente inefficiente. Le proporzioni possono variare, ma in linea di massima solo il 30 per cento circa dell’energia contenuta nei combustibili fossili diventa energia utile, col 70 per cento restante che va perso soprattutto sotto forma di calore. I pannelli solari hanno un rendimento inferiore, ma usano una fonte di energia che non ha nessun costo e non inquina, quindi in proporzione sono molto più efficienti ed economici.

Per potenziare la propria produzione di energia elettrica, nel 2020 la Cina si era imposta l’obiettivo di arrivare a una capacità di 1.200 gigawatt da fonti rinnovabili entro il 2030, ma ha già raggiunto quell’obiettivo nel 2024. I più grandi produttori di pannelli solari al mondo sono quasi tutti cinesi ed esportano molto in alcuni dei paesi con cui la Cina ha stretti rapporti commerciali in Asia, Africa e Sudamerica. Secondo gli analisti, questo ha il potenziale di favorire ulteriormente la diffusione del solare, visto come una fonte più stabile di produzione dell’energia elettrica rispetto ai combustibili fossili.

Produrre elettricità dai combustibili fossili significa inoltre mantenere rapporti con i paesi che possiedono i giacimenti ed essere pronti alle fluttuazioni del mercato, che possono incidere pesantemente sui costi. È un problema comune a moltissimi paesi e che è diventato evidente in Europa nel 2022 in seguito all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La crisi energetica che ne è derivata, per via della forte dipendenza europea dal gas russo, ha portato l’Unione Europea a rivedere le proprie politiche energetiche provando a intervenire sul proprio “mix energetico”, anche con l’obiettivo di rendersi più indipendente attraverso le fonti rinnovabili (finché è durato).

Nel 2024 nell’Unione Europea sono stati aggiunti pannelli solari per 65,5 gigawatt, il dato più alto di sempre, anche se la crescita rispetto all’anno precedente è stata solo del 4 per cento, di molto inferiore a quella tra il 41 e il 53 per cento registrata tra il 2021 e il 2023, quando la crisi energetica era al suo massimo. Gli andamenti altalenanti nel breve periodo del solare, e di altre rinnovabili, sono un fenomeno noto e hanno spesso a che fare con le evoluzioni del mercato energetico. Qualche anno fa in Sudafrica ci fu un enorme aumento delle installazioni di pannelli fotovoltaici in una fase in cui c’erano ricorrenti blackout a causa delle inadeguatezze della rete elettrica, problemi che furono poi risolti riducendo di conseguenza la necessità di installare nuovi pannelli.

Un impianto fotovoltaico in California, Stati Uniti (David McNew/Getty Images)

Negli Stati Uniti lo scorso marzo meno della metà dell’energia elettrica è stata prodotta con i combustibili fossili e la domanda per tecnologie come il fotovoltaico e l’eolico continua a essere alta, nonostante gli sforzi della nuova amministrazione di Donald Trump di tornare a bruciare più carbone. L’aumento di nuove installazioni di pannelli è stato reso possibile soprattutto dalle iniziative del precedente governo, quello di Joe Biden, che aveva introdotto finanziamenti di vario tipo e aveva provato a ridurre i passaggi burocratici per ottenere i permessi per installare i pannelli solari. Non è chiaro come evolverà il mercato dopo la decisione di Trump di rimuovere i provvedimenti del suo predecessore.

Anche nel caso di un rallentamento negli Stati Uniti, gli analisti ritengono comunque che globalmente il mercato dei pannelli solari dovrebbe continuare a crescere sia per i costi sempre più bassi delle installazioni, sia per i limiti alle emissioni che si sono dati vari paesi nell’ambito della loro transizione energetica. I più ottimisti ritengono inoltre che si stiano superando almeno alcune delle preoccupazioni che in passato avevano fatto mettere in dubbio la diffusione del fotovoltaico.

La prima e la più importante riguardava la difficoltà di conservare l’energia elettrica prodotta dai pannelli di giorno, per poterla usare di notte quando non possono produrre nulla semplicemente perché il Sole non li illumina. I progressi nelle tecnologie delle batterie, ottenuti soprattutto in Cina, in appena quindici anni hanno fatto ridurre il costo dei sistemi per immagazzinare energia di almeno il 90 per cento. Le batterie sono ormai utilizzate in molti contesti al posto dei classici generatori e, nei progetti su larga scala, possono sostituire almeno in parte le centrali elettriche tradizionali che arrivano in soccorso delle rinnovabili quando c’è poco Sole o non c’è vento.

Lo scorso anno durante una forte ondata di calore in Texas, i sistemi a batteria hanno permesso di gestire l’aumento della domanda dovuto al maggiore impiego dei condizionatori, senza che si dovessero introdurre limitazioni ai consumi come era avvenuto in precedenza. Il risultato è stato ottenuto grazie a sistemi di accumulo a batteria che tra il 2000 e il 2024 hanno aumentato la loro capacità del 4.100 per cento.

Come sa bene chi possiede lo stesso smartphone da qualche anno, col passare del tempo le batterie perdono parte della loro capacità e diventano meno efficienti. Devono quindi essere sostituite e per diverso tempo si è pensato che non ci fossero quantità sufficienti dei minerali necessari per produrle su larghissima scala. In realtà vengono di frequente scoperti nuovi giacimenti e l’impatto ambientale per estrarre i metalli, per quanto abbia effetti a livello locale (anche sulle persone che ci lavorano), non è comparabile con la quantità di emissioni e inquinamento prodotta dall’impiego dei combustibili fossili nel settore energetico.

Negli ultimi anni sono stati inoltre avviati progetti per sviluppare nuove tecnologie di riciclo dei sistemi di accumulo, che consentono di impiegare una parte importante dei minerali che contengono per produrre nuove batterie. Quelle di nuova generazione utilizzano inoltre meno litio, cobalto e nichel rispetto alle batterie di qualche tempo fa, e anche questo incide positivamente sulla loro efficienza complessiva. Lo stesso vale per i pannelli fotovoltaici che richiedono meno materiali costosi rispetto a un tempo.

È stato per esempio calcolato che l’argento usato in un pannello costruito nel 2010 ora è sufficiente per costruirne cinque. Gli stessi pannelli fotovoltaici, che mediamente durano intorno ai 25 anni, possono essere riciclati per produrne di nuovi, senza rendere necessario l’utilizzo di molte nuove materie prime. Le tecniche di riciclo sono comunque in fase iniziale e ancora costose, con il rischio che si producano quindi rifiuti elettronici difficili da gestire per lo meno nel breve periodo.

Un pannello solare installato su una capanna a Qhaka, Sudafrica (Per-Anders Pettersson/Getty Images)

Il settore è in rapida crescita, ma non è immune da diverse complicazioni che potrebbero ostacolarla. Le reti elettriche attuali sono spesso vecchie e centralizzate, quindi poco adatte per passare a un approccio distribuito, dove ci sono tanti piccoli produttori di energia elettrica che immettono nella rete quella che non utilizzano. I lavori di adattamento richiedono tempo e rallentano i progetti di sviluppo di nuovi impianti fotovoltaici, perché ci sono lunghe procedure per poterli collegare alle reti.

L’installazione di grandi impianti solari incontra spesso l’ostilità delle popolazioni locali, contrarie ad avere parte del loro territorio ricoperto da pannelli. Nei paesi che prevedono sussidi e incentivi si ha a volte l’effetto contrario, con aziende agricole che preferiscono rinunciare a parte dei loro campi e della loro produzione per installare impianti fotovoltaici, che permettono una resa economica molto più stabile. È un fenomeno che ha interessato diverse regioni della Spagna e che ha portato a qualche preoccupazione sulla perdita di terreno agricolo per la produzione di frutta e ortaggi.

C’è infine la difficoltà a misurare con precisione l’effettiva diffusione dei pannelli solari. I soli dati sulle vendite sono insufficienti per farsi un’idea della capacità in certe aree geografiche o su scala globale. Per superare questo problema, e valutare con più precisione l’impatto del solare, sono stati avviati di recente progetti per analizzare le immagini satellitari del territorio con sistemi di intelligenza artificiale, addestrati per riconoscere i pannelli installati sui tetti e sul territorio.

Dati più accurati consentirebbero di coordinare e gestire meglio le iniziative per la transizione energetica, riducendo gli sprechi e rendendo possibili investimenti mirati non solo nel solare, ma anche negli altri sistemi di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Related Post